Profitti record delle banche italiane: 40 miliardi nel 2023, ma allo Stato niente

da L’INDIPENDENTE

Le banche fanno sempre più utili, segnando numeri da record. Ma lo Stato italiano, da tale exploit, non riesce a ricavare nemmeno un euro. Nel suo complesso, il sistema bancario è riuscito a incamerare nel corso del 2023 oltre 40 miliardi di euro: i primi cinque istituti di credito, nel 2023, hanno raccolto ben 21 miliardi di euro di profitti, con Unicredit e Intesa Sanapaolo che hanno chiuso l’anno con profitti addirittura pari a 8,6 e 7,7 miliardi di euro. A seguire, banca Mps (2 miliardi), Bper (1,5 miliardi) e Banco Bpm (1,2 miliardi). Risultati che vanno a migliorare anche i lauti guadagni del 2022, ma che non producono alcun effetto benefico per l’erario. La tassa sugli extraprofitti presentata la scorsa estate dal governo è stata infatti fortemente depotenziata, per non dire completamente cassata. La sua ultima versione, poi approvata, ha infatti consentito agli istituti di credito di scegliere se versare la tassa nelle casse dello Stato oppure utilizzare quel denaro per il rafforzamento del proprio capitale. Le banche hanno scelto, ovviamente, la seconda proposta.

Grazie all’annichilimento della tassa degli extraprofitti da parte del governo italiano, attuata per mezzo di un emendamento al decreto legge 104 del 2023, gli istituti di credito hanno potuto rafforzare il proprio patrimonio optando per l’accantonamento a riserva non distribuibile per un ammontare di 2,5 volte l’importo teorico del prelievo fiscale. Evitando, così, di versare l’imposta straordinaria e tenendo tutto il malloppo. Se la norma non fosse stata sgonfiata del suo contenuto, lo Stato – che è ovviamente rimasto a mani vuote – avrebbe potuto ottenere circa 4 miliardi. Oltre che per gli incrementi dei tassi stabiliti dalla BCE, le cinque maggiori banche hanno ottenuto questi importanti risultati grazie ad una crescita del margine di interesse del 56,7% rispetto alla stessa fase dell’anno precedente. A sembrare paradossale è il dato che vede il computo totale dei prestiti in essere delle 5 “big” più basso di circa 50 miliardi rispetto a un anno fa (a dicembre 2023, i prestiti al settore privato sono diminuiti del 2,8% sui dodici mesi, quelli alle famiglie dell’1,3% e quelli alle società non finanziarie addirittura del 3,7%). Segno evidente che il motivo dell’incremento dei guadagni per gli istituti di credito sia da individuare nei maggiori costi in capo ai (sempre meno) contraenti.

A spingere per l’approvazione dell’emendamento alla legge sugli extraprofitti – poi effettivamente passato lo scorso 23 settembre – fu soprattutto un coordinamento tra la Banca d’Italia, Tesoro e Banca Centrale Europea. Quest’ultima aveva infatti indirizzato al Tesoro un parere critico sull’imposta, evidenziando il fatto che, in una fase di riduzione dei crediti dovuta al rialzo dei tassi, la sua entrata in vigore senza modifiche avrebbe potuto contribuire al peggioramento del patrimonio bancario e dell’economia, disincentivare il sostegno degli istituti di credito a Btp e simili e mettere a rischio, nella sua fase di rilancio, la riprivatizzazione di MPS concordata con l’Unione Europea. Così, tutti i principali istituti di credito, tra cui Unicredit, Intesa San Paolo, Bpm, Bper, Credem, Mediobanca eMediolanum (controllata per il 30% dalla famiglia Berlusconi, la cui “protesi” politica, Forza Italia, si è infatti subito detta contraria al provvedimento) non hanno aderito alla misura. Nemmeno MPS, controllata al 64% dal Tesoro, né Mediocredito-Banca del Mezzogiorno, partecipato al 100% da Invitalia (interamente controllata dal Ministero dell’Economia) hanno versato un solo euro all’erario.

[di Stefano Baudino]

Fonte L’INDIPENDENTE