FINE DELLA DESTRA E DELLA SINISTRA, TRIONFO DEL TURBOCAPITALISMO

Diego Fusaro

Seguendo le “avventure della dialettica”, come le chiamava Merleau-Ponty, la transizione al turbocapitalismo (o capitalismo assoluto-totalitario) può essere interpretata come il passaggio storico di una forma di capitalismo caratterizzata dalla presenza di due classi (borghese e proletaria) ) a una nuova forma di capitalismo “post-classe”, che non si distingue più per l’esistenza di classi in senso stretto (come soggettività in sé e per sé) e che, allo stesso tempo, è caratterizzato dalla massima disuguaglianza. Questo processo evolutivo ha determinato anche il motivo profondo dell’obsolescenza della dicotomia sinistra-destra, “due parole ormai inutili”.

Per capitalismo “post-classe”, cioè letteralmente “senza classi”, non dovremmo intendere un modo di produzione privo di differenze individuali e collettive in termini di conoscenza, potere, reddito e consumo. Queste differenze, infatti, aumentano esponenzialmente nel contesto della cosmopolitizzazione neoliberista (la cui parola d’ordine è proprio lo slogan “Diseguaglianze”). Ma non formando, in sé e per sé, “classi” come soggettività coscienti e portatrici di differenze culturali e ideali. Infatti, in quanto “classi”, in sé e per sé, né il Servo nazionalpopolare né il Signore elitario globale possono essere presi in considerazione. Per quanto paradossale possa sembrare, nel momento in cui – a Berlino, nel 1989 – il capitale cominciò a diventare più classista che mai e a dar luogo a disuguaglianze più radicali di prima, le classi intese come gruppi dotati di una “in-sé-ità” ” e il “per-sé” verrà eclissato. Più concretamente, i proletari non cessano di esistere e anzi aumentano di numero, a causa della concentrazione sempre più asimmetrica del capitale. Ma non possiede più l’antagonista “coscienza di classe” e, in senso stretto, il proletariato stesso diventa un “precariato”, condannato alla flessibilità e al nomadismo, alla mobilità e alla rottura di ogni solido legame, in funzione delle nuove esigenze sistemiche del turbo -capitalismo. La classe borghese, dal canto suo, perde la sua coscienza infelice e, con essa, la sua condizione materiale di esistenza. Sta diventando proletario e, a partire dal 1989, è progressivamente precipitato nel baratro della precarietà.

Finché il sistema capitalista, nella sua fase dialettica, è stato caratterizzato dalla divisione in due classi e in due spazi politici contrapposti, è stato, fin dall’inizio, intrinsecamente fragile. Essa, infatti, fu attraversata da contraddizioni e conflitti, che si manifestarono nell’infelice coscienza borghese, nelle lotte proletarie per il riconoscimento del lavoro, nelle avveniristiche utopie di riorganizzazione del mondo e infine nel programma “redentore” della sinistra ( sia socialista-riformista che comunista-rivoluzionario). In una prospettiva hegeliana, il capitale si trova nel proprio essere-altro da sé, nella propria distanza da sé che deve dialetticamente “superare” per poter coincidere pienamente con sé stesso sotto forma di “un superamento della propria negazione.

Il capitale, come la Sostanza di cui parla Hegel, coincide con il movimento di spossessamento di sé e con il processo di divenire altro da sé-con-sé. Si tratta quindi di uguaglianza autocostitutiva dopo la divisione. Per dirlo ancora con Hegel, si tratta di divenire uguali a se stessi a partire dal proprio essere-altro. La sua essenza non è la Selbständigkeit astratta, l’uguaglianza immobile con sé stessi, ma il “diventare uguale a sé stessi”: l’identità “con sé stessi” non è data, ma si realizza come risultato del processo. Ecco perché, come lo Spirito teorizzato da Hegel, il Capitale può essere inteso anche come das Aufheben des/seines Andersseyns, “il superamento del proprio essere-altro”. Sviluppandosi al ritmo del proprio Begriff, vale a dire – secondo la Scienza della Logica – come realtà ontologica nello sviluppo dialettico, il capitalismo produce un superamento sia delle classi antagoniste sia della dicotomia sinistra-destra e, in prospettiva, di ogni altro elemento dialettico capace di minacciarne la riproduzione.

In particolare, questo processo, sul versante che va dal 1968 al 1989 e da lì ad oggi, si sviluppa – come ha mostrato Preve – sussumendo sotto il capitale l’intera sfera degli antagonismi e delle contestazioni, sia di destra (tradizionalismo culturale in primis e proteste della piccola borghesia contro la proletarizzazione), quella – soprattutto – di sinistra, sia essa democratica, socialista o comunista (riformismo keynesiano, pratiche redistributive, assistenzialismo, prassi rivoluzionaria, utopia della riorganizzazione egualitaria della società). La destra e la sinistra vengono dialetticamente “superate” (aufgehoben), nel senso hegeliano del termine. Si trasformano in parti astrattamente opposte e concretamente intercambiabili della riproduzione capitalistica. Appaiono come poli che, alternandosi nella gestione dello status quo, negano l’alternativa. E ingannano le masse sull’esistenza di una pluralità che, in realtà, si è già risolta per sempre nel trionfo predeterminato dell’articolato partito unico del turbocapitalismo.

Ecco perché il superamento del binario sinistra-destra non va inteso né come il semplice risultato di un “tradimento” dei leader della sinistra, né come un subdolo tentativo contemporaneo della destra radicale di infiltrarsi nel “mondo dei buoni”. .” “. Al contrario, è un processo in atto coessenziale alla logica dialettica dello sviluppo del capitale. E in sintesi, l’incapacità di interpretare correttamente il contesto reale costituisce l’errore degli ancora generosi e ingenui tentativi ermeneutici del vecchio marxismo superstite, ancora guidati dall’illusoria pretesa di sovrapporre al turbocapitalismo i contorni del precedente quadro dialettico ormai dissolto. , cadendo così nel teatro dell’assurdo; un teatro dell’assurdo sul cui palcoscenico continueremmo a rappresentare il conflitto tra borghesia e proletariato e, di conseguenza, potremmo “rifondare” la sinistra attraverso un ritorno al passato ingiustamente dimenticato (mentre la verità creduta è che il conflitto che oggi esiste realmente è quello tra “l’alto” e “il basso”, tra il “alto” dell’oligarchia finanziaria e il “basso” delle classi medie e dei lavoratori, sempre più ridotti alla miseria).

La sinistra non può ristabilirsi principalmente per due ragioni: a) il quadro storico è mutato (che richiede quindi nuovi paradigmi filosofico-politici che comprendano e contestino operativamente la globalizzazione capitalista e il neoliberismo progressista); b) nasconde fin dalla sua origine in una parte di sé – come ha mostrato Michéa – un doppio vulnus fondamentale: 1) la concezione del progresso come rottura necessaria con le tradizioni e i legami precedenti, vale a dire l’elemento decisivo che infallibilmente portarlo ad aderire al ritmo del progresso neoliberista; e 2) l’individualismo ereditato dall’Illuminismo, che porta necessariamente alla monadologia competitiva neoliberista. La difesa del valore individuale contro la società dell’Ancien Régime si inverte nell’individualismo capitalista e nella sua antropologia monadologica, così come il rovesciamento totale delle tradizioni genera l’integrazione dell’individuo non più nella comunità egualitaria, ma nel mercato globale dei beni di consumo.

Il fondamento del capitalismo totalitario assoluto, nel contesto socioeconomico, non è più la divisione tra la borghesia di destra e il proletariato di sinistra. E non è nemmeno, politicamente, l’antitesi tra destra e sinistra. Il nuovo fondamento del capitalismo globale è la generalizzazione non classista e onniomologante della forma merce in tutte le sfere del simbolico e del reale. È proprio perché assoluto e totalitario che il capitalismo supera e risolve – nel senso capitalistico del termine – le divisioni che in vario modo ne minacciano la riproduzione. Ecco perché il turbocapitalismo non è né borghese né proletario. Né è di destra o di sinistra. Egli infatti andò oltre e risolse queste antitesi, valide e operative nella sua precedente fase dialettica.

Con l’avvento del turbocapitalismo, il proletariato e la borghesia sono “superati” e “disciolti” – non “in se” e “per se” (in sé e per sé), si direbbe con Hegel – in un nuovo articolo -plebe moderna di consumatori individualizzati e resilienti, che consumano beni con stupida euforia e sopportano con disincantata rassegnazione il mondo sussunto sotto il capitale, vale a dire un mondo sempre più ecologicamente inabitabile e antropologicamente disumanizzato. Da qui la società di Narciso, il dio postmoderno dei selfie, degli “autoritratti” di persone tristi che si immortalano sorridendo.

Allo stesso modo, destra e sinistra vengono “superate” e “dissolte” in un’omogeneità bipolare, articolata secondo l’ormai perfida alternanza senza alternativa di una destra neoliberista dipinta di blu e di una sinistra neoliberista dipinta di fucsia. Non si battono per un’idea di realtà diversa e forse opposta, basata su diversi ordini di valori e sulle loro inconciliabili Weltanschauungen. Al contrario, competono per realizzare la stessa idea di realtà, quella decisa sovranamente dal mercato e dal blocco oligarchico neoliberista, rispetto al quale svolgono ormai il ruolo di semplici maggiordomi, anche se in una livrea di colore diverso. In alto, sulla porta del controllo, c’è una nuova classe post-borghese e post-proletaria, che non è né di destra né di sinistra, né borghese né proletaria. È la classe del patriziato finanziario cosmopolita che, più precisamente, è di destra in economia (competitività senza frontiere e mercificazione integrale del mondo), di centro in politica (alternanza senza alternativa del centrodestra e del centrosinistra, anche neoliberista) e di sinistra nella cultura (apertura, deregolamentazione antropologica e progressismo come filosofia del mai più).

In sintesi, la transizione verso la nuova figura del capitalismo assoluto-totalitario si sviluppa lungo una traiettoria che ci segue dal 1968 al nuovo millennio, attraversando la data fondativa del 1989. Dal 1968 ad oggi, infatti, il capitalismo dialetticamente ha “superato” ( aufgehoben) la contraddizione che lui stesso aveva provocato nella fase antitetico-dialettica, rappresentata dal doppio nodo di opposizione tra borghesia e proletariato, e tra destra e sinistra. L’attuale capitalismo assoluto-totalitario si caratterizza così: da un lato, per l’eclissi del legame simbiotico tra le due istanze della “coscienza infelice” borghese e delle “lotte per il riconoscimento del lavoro servile” proletarie; e, dall’altro, con l’eliminazione della polarità tra destra e sinistra, ormai trasformate in due ali dell’aquila neoliberista. Il turbo-capitale ha “andato oltre” queste antitesi, proprie del momento dell'”immensa potenza del negativo” (vale a dire dell’essere-altro-da-sé), e le ha “assunte” sotto di sé, riconquistare la propria identità con se stesso ad un livello più alto rispetto alla fase tetica, come frutto del superamento del proprio autostrangolamento.