Stellantis torna a battere cassa: “incentivi pubblici o chiudiamo gli stabilimenti”

Sebbene gli eredi della Fiat, a seguito delle fusioni che diedero vita a FCA e poi a Stellantis, abbiano la sede aziendale nei Paesi Bassi da ormai 10 anni, trovano ancora il modo di battere cassa per ottenere aiuti pubblici dallo Stato italiano, con un metodo che suona esplicitamente come un ricatto. «L’Italia dovrebbe fare di più per proteggere i suoi posti di lavoro nel settore automobilistico anziché attaccare Stellantis (…) se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in Italia», ha affermato l’ad di Stellantis, Carlos Tavares. L’attacco arriva a stretto giro di posta rispetto alle affermazioni della premier Giorgia Meloni, che la settimana scorsa aveva accusato l’azienda di tenere «in considerazione molto più le istanze francesi rispetto a quelle italiane». Normale sia così, visto che lo Stato francese possiede il 6,2% delle azioni ed è rappresentato nel Consiglio di amministrazione della holding, mentre lo Stato italiano – pur avendo finanziato la famiglia Agnelli-Elkann per decenni con sovvenzioni dirette e indirette (come l’appalto per la produzione di mascherine anti-Covid) – non è rappresentato nell’azienda. Per questo i sindacati, e oggi anche le opposizioni politiche, chiedono a gran voce che anche l’Italia investa per acquisire azioni e ottenere rappresentanza pari a quella francese.

Gli affari di Stellantis pare stiano andando a gonfie vele, come testimonia il fatto che i primi 6 mesi del 2023 abbiano fruttato all’azienda una cifra vicina agli 11 miliardi di euro. Nonostante ciò, l’ad Tavares – che ha fatto queste queste dichiarazioni a Bloomberg, poco prima di prendere parte a un vertice presso il Ministero delle Imprese insieme a sindacati, regioni e altre aziende della filiera –, non si è fatto remore nell’indicare esplicitamente gli stabilimenti della Penisola che sarebbero in pericolo: quello storico di Mirafiori, all’interno del quale si produce la 500 elettrica, e quello di Pomigliano, dove viene prodotta la Panda. Ciò è avvenuto sebbene il ministro Adolfo Urso, nella medesima occasione, abbia confermato il Piano Ecobonus per il 2024, per un ammontare di quasi un miliardo di euro. «Nei diversi incontri che ho avuto con Tavares ed Elkann mi è stata posta una richiesta esplicita, che l’Italia si facesse parte attiva e protagonista in Europa per cambiare in maniera radicale il regolamento Euro 7, cosa che l’Italia ha fatto e pochi credevano che fosse possibile – ha chiosato il ministro –. Poi è arrivata una seconda richiesta: “Un piano incentivi significativo e straordinario”, lo abbiamo mantenuto. Ora cosa vogliono? Che entriamo nel capitale per tutelare gli interessi italiani?». Proprio su questo punto premono le opposizioni, con la segretaria del PD Elly Schlein che invita l’esecutivo a prendere «sul serio l’ipotesi di una partecipazione italiana a Stellantis che bilanci quella francese» e il leader del M5S Giuseppe Conte che afferma che, «dopo aver iniziato la svendita della rete Tim, di Ita, di Poste e FS», il governo sia chiamato a dimostrare «un briciolo di amor patrio» trattando «l’ingresso dello Stato in Stellantis». Urso non ha chiuso a tale ipotesi, dichiarando anzi: «Se Tavares e altri richiedono che l’Italia faccia come la Francia, che ha cambiato la sua partecipazione statale in Stellantis, ce lo chiedano e possiamo ragionare insieme».

Ad ogni modo, la prospettiva dello smantellamento degli stabilimenti italiani da parte di Stellantis non è la novità del giorno, partendo invece da molto lontano. Lo scorso autunno, senza sentire preliminarmente le istituzioni o i rappresentanti dei lavoratori, la holding ha infatti indirizzato una missiva a 15mila dipendenti degli stabilimenti dello Stivale – un terzo di quelli ancora operativi, che da Nord a Sud sono sempre meno -, proponendo loro, qualora fossero interessati a lasciare l’azienda al fine di seguire “nuovi progetti professionali o personali”, l’uscita volontaria. Il tutto attraverso incentivi calibrati in maniera differente a seconda dei singoli destinatari, in base a una “clausola di sicurezza” riferita all’anzianità e all’età. Delocalizzazione ad ogni costo, insomma. Nonostante, dal 1975 ad oggi, nelle casse di Stellantis – sommando tutte le voci, tra cui cassa integrazione per i dipendenti, prepensionamenti, rottamazioni, costruzione di stabilimenti – dallo Stato italiano siano stati veicolati ben 220 miliardi di euro.

[di Stefano Baudino]

Fonte L’INDIPENDENTE