ANCORA ARMI DALL’ITALIA A ISRAELE!

di Gianni Lannes

Sulle armi che hanno ucciso oltre 25 mila civili in Palestina dal 7 ottobre 2023, in gran parte donne e bambini a Gaza, c’è il nome indelebile dell’Italia. Impossibile negare l’evidenza. Basta trovare i riscontri compulsando le banche dati nazionali e internazionali, a partire dal Sipri: le prove ufficiali non mentono spudoratamente come i crassi politicanti covidioti. Cooperazione militare tra Italia e Israele: è questo il contributo alla violentata pace?

Che fare? Embargo generale verso Tel Aviv. I tre aspetti che giustificano ampiamente la richiesta di immediato ed effettivo embargo militare nei confronti di Israele da parte dell’Italia e dell’Unione europea, sono i seguenti: l’apartheid e la pulizia etnica, il ruolo centrale di Israele nella proliferazione degli armamenti e la sua totale impunità. Israele pratica dal 1948 l’apartheid contro il popolo palestinese in modo in modo quasi scientifico grazie alla sua forza e alla tecnologia militare. Tale crimine si accompagna con una pulizia etnica ininterrotta e costante che perdura da oltre cento anni, con il fine di realizzare uno stato ebraico “puro”. Israele, riveste un ruolo centrale nella proliferazione di armamenti per lo sterminio di massa e sistemi di sicurezza grazie alle sue pratiche e strategie aggressive e sofisticate, applicate e testate sulla popolazione palestinese, e proprio in virtù di ciò è riconosciuto come modello da imitare. Israele gode della più totale impunità e dell’appoggio della comunità internazionale, nonostante i suoi crimini siano ben documentati. La stessa Italia figura tra i primi partner nella collaborazione militare.
Nonostante la guerra ebraica di stampo sionista, o meglio lo sterminio degli autoctoni palestinesi, l’Italia seguita ad esportare armamenti verso Tel Aviv. Il ministro al ramo, tale Crosetto, ha mentito in Parlamento e all’opinione pubblica? L’Italia ha sospeso il rilascio di nuove licenze di esportazione di armi e sistemi militari a Israele? La decisione sarebbe stata assunta da parte di Uama, l’Autorità nazionale incardinata presso il ministero degli Esteri preposta al rilascio delle licenze, circa una settimana dopo l’intervento militare delle forze armate israeliane nella Striscia di Gaza. Stando alle informazioni diffuse – non risulta al momento una nota ufficiale di Uama – si sarebbe trattato di un «atto dovuto» in ottemperanza della legge 185 del 1990 che vieta l’esportazione di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere».

Una decisione positiva, ma assolutamente non sufficiente, insomma il solito fumo negli occhi di un’Italia priva di indipendenza e sovranità rimorchiata dagli eventi, ma soprattutto pilotata dalle decisioni altrui (straniere). La sospensione riguarderebbe, infatti, solo eventuali nuove licenze all’esportazione, non quelle già rilasciate negli anni precedenti e tuttora in corso. Per sospendere o revocare le autorizzazioni già rilasciate negli anni scorsi è infatti necessario un «decreto del Ministero degli affari esteri sentito il Cisd», il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa. E, al momento, non risulta che alcun decreto sia stato emesso.

Mediante un messaggio via twitter (oggi X) il ministro Crosetto è intervenuto spiegando che fino al 7 ottobre «nel 2023 erano state approvate 21 licenze (di esportazioni di materiali militari a Israele) per 9,9 milioni di euro quasi tutti parti di sistemi di comunicazione». Nello stesso tweet Crosetto, in polemica con l’ex primo ministro Giuseppe Conte, riporta i valori delle licenze di esportazione di materiali militari a Israele rilasciati negli anni scorsi: 9 milioni di euro nel 2022; 12 milioni nel 2021; 21 milioni nel 2020 (governo Conte 2) e 28 milioni nel 2019 (governo Conte 1). Di buono almeno il braccio destro della Meloni ha sbugiardato la finta opposizione del Conte bis.

I dati pubblici accessibili nel database del commercio estero dell’Istat riportano però un’altra immagine dell’agghiacciante realtà affaristica. Tra il 2019 e il 2022 le esportazioni di «armi e munizioni», sia di tipo militare che di tipo comune, cioè dirette all’utilizzo da parte dei civili, verso Israele superano i 52 milioni di euro: tra queste esportazioni sono comprese quelle per «bombe, granate, siluri, missili, cartucce e altre munizioni» di tipo militare. Considerando che le esportazioni di «armi e munizioni di tipo comune» non superano le centinaia di migliaia di euro all’anno, si tratta in gran parte proprio di armi e munizioni di tipo militare.

Nel 2023 a cavallo tra gennaio e giugno sono stati esportati a Israele più di 11 milioni di armi e munizioni soprattutto di tipo militare. Si tratta di armi e munizioni di tipo militare e non di tipo comune.

La sezione della Relazione del 2023 sulle esportazioni di materiali militari curata dal ministero dell’Economia e delle finanze (dipartimento del Tesoro) segnala inoltre un pagamento ricevuto dall’azienda Rwm Italia nel 2022 da parte di Israele del valore di 899.225 euro: come noto, la Rwm Italia produce principalmente bombe.

Se dunque il governino Meloni, telecomandato da Washington a sua volta eterodiretta da Tel Aviv (alla voce: Aipac), vuole davvero prevenire l’utilizzo da parte di Israele di materiali militari prodotti in Italia non può limitarsi a sospendere solo le nuove licenze, ma dovrebbe estendere la sospensione a tutte le licenze rilasciate negli ultimi anni soprattutto per quei materiali militari – appunto come bombe, razzi missili e proiettili – che potrebbero essere utilizzati dalle forze armate israeliane per commettere crimini di guerra e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.

Conti ufficiali alla mano, dal 2013 al 2022 le aziende italiane hanno venduto al regime totalitario di Israele armamenti per un valore pari a quasi 120 milioni di euro: in media circa 12 milioni di euro all’anno, con un andamento altalenante nel tempo. Anche che gli armamenti acquistati dall’Italia, provenienti da Israele, hanno raggiunto una cifra superiore alle vendite, pari a oltre 250 milioni di euro.

La nuova guerra fra l’organizzazione politico-religiosa islamista Hamas (sostenuta dal governo israeliano a danno di al-Fatah) e Israele, iniziata lo scorso 7 ottobre 2023, ha riportato al centro del dibattito politico i rapporti tra l’Italia e il Paese mediorientale. Il governo italiano di Giorgia Meloni ha condannato l’attacco di Hamas, esprimendo sostegno e vicinanza alla popolazione israeliana. Al momento non è chiaro se ci sarà un supporto di un qualche tipo, ma le cifre istituzionali (relazioni annuali al Parlamento) mostrano comunque che da decenni il Belpaese commercia armi e tecnologia bellica con Israele e consente all’Israeli Air Force (responsabile della strage di Ustica), di compiere esercitazioni militari in Sardegna.

Il valore delle esportazioni e delle importazioni di armi da parte di società italiane nel mondo è pubblicato ogni anno nella “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. In Italia per esportare e importare armi e tecnologie militari serve un’autorizzazione governativa: la relazione raccoglie tutti i dati delle autorizzazioni concesse per vendere o acquistare armamenti, come aerei, navi da guerra, veicoli terrestri, bombe, razzi e munizioni. Secondo l’ultima relazione, inviata lo scorso maggio dal governo Meloni al Parlamento, nel 2022 le aziende italiane hanno esportato armi nel mondo – grazie soprattutto alle banche tricolori, in primis San Paolo Imi, incluso lo Ior del Vaticano – per un valore complessivo di circa 5,3 miliardi di euro. In questa somma sono compresi i costi delle intermediazioni fra i vari Paesi, le licenze e le autorizzazioni alla vendita. Nel complesso il valore delle autorizzazioni alla vendita di armi ammonta a circa 3,8 miliardi di euro: il primo Paese a cui nel 2022 l’Italia ha venduto armi è stato la Turchia (598,2 milioni di euro), seguita dagli Stati Uniti (532,8 milioni) e dalla Germania (407,2 milioni).

Nel 2022 Israele ha ricevuto armi da aziende italiane per quasi 9,3 milioni di euro. Negli ultimi dieci anni il valore delle esportazioni di armi ha raggiunto il picco nel 2019, quando le vendite hanno toccato i 28,7 milioni di euro, per poi scendere negli anni successivi. Il valore più basso è stato registrato nel 2014, quando le esportazioni di armi italiane in Israele hanno toccato circa 370 mila euro. La relazione sul commercio delle armi dell’Italia contiene informazioni sul tipo di armi vendute. Tra i 9,3 milioni di euro di armi acquistate da Israele nel 2022 ci sono, per esempio, armi o sistemi d’arma di calibro superiore a 12,7 millimetri, come i fucili, munizioni, bombe, siluri, razzi, e altre apparecchiature da guerra. Il secondo volume della relazione al Parlamento contiene poi l’elenco delle aziende italiane che hanno venduto armi a Israele. Tra queste troviamo Leonardo Spa, la principale società italiana del settore militare e dell’aerospazio, controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanza, e l’Agenzia industrie difesa, controllata dal Ministero della Difesa.

Al di là delle armi vendute, l’Italia è legata a Israele anche per le armi acquistate dal Paese mediorientale. Negli ultimi dieci anni l’Italia ha acquistato da Israele armamenti per circa 251 milioni di euro. Dal 2013 a oggi il volume di acquisti di armi fatti dall’Italia da Israele è stato altalenante. La somma più alta di armi israeliane acquistate dal nostro Paese è stata raggiunta nel 2017, pari a circa 56 milioni di euro, mentre la somma più bassa è stata registrata l’anno dopo, nel 2018, pari a circa 4 milioni. Nel 2022 le armi vendute da Israele all’Italia sono state pari a 9,8 milioni di euro.

L’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) del Ministero degli Esteri è l’autorità governativa che si occupa di controllare esportazione e importazione di armi. L’attività è regolata dalla legge 9 luglio 1990, numero 185 (modificata dalla legge numero 148 del 2003 (a firma del famigerato ex ministro della Difesa Cesare Previti sotto il governo del piduista Silvio Berlusconi) che definisce le norme su “sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. L’articolo 1 comma 6, vieta esportazione e transito di materiali di armamento in questi casi: verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere; verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione; verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell’Unione europea (UE); verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa; verso i Paesi che, ricevendo dall’Italia aiuti ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49, destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa del paese; verso tali Paesi è sospesa la erogazione di aiuti ai sensi della stessa legge, a eccezione degli aiuti alle popolazioni nei casi di disastri e calamità naturali.

In questo caso vale proprio il primo punto: dopo il 7 ottobre Israele è un Paese in stato di conflitto armato e quindi l’Italia non può più inviare armamenti. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha confermato, a suo dire, la sospensione, citando anche altri dati che smascherano la sceneggiata pubblica del grullino Giuseppe Conte. Prima del “blocco” ammorbidito all’italiana, il numero di licenze concesse per esportare armi era parecchio limitato: 21 nei mesi precedenti del 2023, per un totale di 9,9 milioni di euro, pari allo 0,27 per cento dell’export totale dell’Italia.

Allargando l’orizzonte, con una proposta presentata l’11 agosto 2023 dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, il governicchio neofascista sta provando ad apportare alcune modifiche alla Legge 185/90, quella che regola le esportazioni di armamenti. L’obiettivo di facciata è reintrodurre il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), abolito nel 1993. Il Disegno di Legge numero 855 è attualmente in discussione al Senato, ma ha generato già una levata di scudi da parte di numerose organizzazioni pacifiste, che hanno accusato a ragion veduta l’esecutivo meloniano di voler rendere più facile l’export di armi e sistemi d’arma italiani nel mondo.

L’impianto della legge 185/90 è stato modificato inoltre nel 2012, con il recepimento della direttiva europea 2010/80 Ue, che ha introdotto il principio generale in base al quale il trasferimento di prodotti per la difesa fra Stati membri deve essere subordinato al rilascio di un’autorizzazione preventiva dello Stato membro da cui partono i prodotti, salvo i casi di fornitori o destinatari facenti parte di un organismo governativo o delle forze armate, di forniture effettuate dall’Unione europea, dalla Nato, dalla Iaea o da altre organizzazioni intergovernative per lo svolgimento dei propri compiti o di programmi di cooperazione tra Stati membri in materia di armamenti – o ancora di fornitura di aiuti umanitari per fronteggiare catastrofi -, autorizzazione accordata sotto forma di una licenza di trasferimento. Il testo del Disegno di legge 855 è facilmente consultabile e dalla relazione generale che lo accompagna si può notare come alla base del provvedimento vi sia la necessità di snellire le procedure contrattuali e burocratiche e garantire maggiore libertà di manovra al decisore politico su esportazione e importazione di armamenti.

Infatti, la proposta del governo Meloni amplia il termine per la presentazione della documentazione comprovante la conclusione dell’operazione di trasferimento. La proposta di Tajani, presentata di concerto con i colleghi ministri della Difesa, di Economia e finanze, Interno e Imprese e Made in Italy, è in linea con le esigenze commerciali, ovvero di mero profitto, attuali tanto del comparto industriale dell’aerospazio-difesa, quanto della sicurezza nazionale, ma anche in sincronia con il Memorandum (Italia/Israele) bellico stipulato dall’esecutivo Berlusconi il 16 giugno 2003.

Conta soltanto il lucro in soldoni e non le vite umane. Non a caso, l’Aerospace and defence industries association of Europe (Asd) in un suo documento, intitolato The Importance of Exports for the European Defence Industry, ha spiegato come il mercato AD&S europeo sia oggi frammentato e soggetto a limitazioni di budget e cicli di approvvigionamento non sincronizzati, oltreché a rischi sull’intera catena del valore, soggetta alle ricadute dello scontro politico-diplomatico sui materiali critici. Per esempio, nel 2020, a parità di potere d’acquisto, i 27 Paesi membri dell’Ue hanno speso collettivamente circa 216 miliardi di euro per la difesa, contro i 766 miliardi di dollari degli Stati Uniti, i 178 miliardi di dollari della Russia e i 332 miliardi di dollari della Cina. Si deve, inoltre, considerare come la quota di mercato dei produttori europei di armamenti in Europa sia inferiore alle aspettative, con molti Paesi del vecchio continente che preferiscono affidarsi ad appaltatori stranieri, principalmente statunitensi, per l’acquisto di velivoli dual use, elicotteri da trasporto pesante e velivoli unmanned. Il mercato europeo e quello dei Paesi Nato da soli non bastano a coprire i costi del comparto industriale di settore. Ecco perché l’Asd sta mettendo in evidenza quanto sia importante diversificare e favorire le esportazioni di armamenti creati da industrie europee con tecnologia europea.

Quanto all’Italietta, l’aerospazio-difesa vanta un fatturato di circa 17 miliardi di euro, e il valore della produzione, incluso l’indotto, è di circa quaranta miliardi di euro. Sono i numeri presentati nel febbraio scorso in audizione alla commissione Esteri e Difesa di Camera e Senato da Giuseppe Cossiga, presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad). Anche l’Aiad, sulla stessa linea d’onda dell’Asd, ha richiesto di rivedere la Legge 185/90 per garantire ai processi di esportazione di armamenti una più chiara impronta governativa sulle decisioni da prendere. Il tentativo di reintrodurre il Cisd – le cui funzioni sono oggi demandate a un comitato tecnico istituito presso la Farnesina e denominato Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento-Uama – risponde all’esigenza di dare un chiaro indirizzo di politica estera anche ad una materia complessa come quella dell’export di armi.

Analizzando la serie storica delle esportazioni di armamenti italiani, contenuta nella Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento del 2022, si può notare la crescita delle autorizzazioni alle esportazioni di armi e sistemi e, dunque, anche del fatturato connesso, in Paesi “democratici” nella mera fantasia come la Turchia (oggi al primo posto), il Qatar, Singapore, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Kuwait e l’India. Infatti, se la capacità italiana di esportare armi negli Stati Uniti e nei Paesi Ue e Nato può sembrare scontata, è interessante valutare come le direttrici commerciali AD&S italiane si stiano indirizzando verso i Paesi d’interesse del Mediterraneo allargato e di una strategia di guerra che lo connette, all’Indo-Pacifico.

AFFARONI IERI E OGGI

Risale al 16 giugno 2003 il patto d’acciaio Roma-Tel Aviv con la firma del “memorandum” d’intesa in materia di cooperazione militare, che regola la reciproca collaborazione nel settore difesa e prevede: interscambio negli armamenti e nell’organizzazione delle forze armate, nella formazione del personale, nella ricerca e così via.

Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato 20 anni fa la ratifica del “memorandum d’intesa” stipulato, il 16 giugno 2003, dai governi italiano e israeliano in materia di “cooperazione nel settore militare e della difesa”. Cosa prevede questa intesa? Si tratta di un accordo generale quadro che regola la cooperazione tra le parti nel settore della difesa, nel cui ambito potranno essere conclusi accordi tecnici specifici. I campi di cooperazione comprendono, tra l’altro, “l’interscambio di materiale di armamento”, “l’organizzazione delle forze armate”, “la formazione e l’addestramento del personale militare”, “la ricerca e sviluppo in campo militare”. Sono previsti, a tale scopo, “scambi di esperienze tra gli esperti delle due parti”, “partecipazione di osservatori ad esercitazioni militari”, “programmi di ricerca e sviluppo in campo militare”. In questo modo l’industria militare e le forze armate del nostro paese potranno essere coinvolte in attività di cui nessuno (neppure il parlamento) sarà messo a conoscenza, perché il memorandum stabilisce che “le attività derivanti dal presente accordo saranno soggette all’accordo sulla sicurezza”, il quale prevede la massima segretezza. Un accordo politico, quindi, non solamente tecnico: come hanno sottolineato allora i ministri Fini e Martino, “un preciso impegno politico assunto dal governo italiano in materia di cooperazione con lo stato d’Israele nel campo della difesa”.

Per mettere a punto l’accordo quadro, il ministro della difesa israeliano Mofaz ha incontrato, il 18 novembre 2002 a Roma, Berlusconi e Martino. Secondo fonti militari israeliane, citate da Voice of America (22 novembre), egli ha concordato tra l’altro col governo italiano «lo sviluppo congiunto di un nuovo sistema di guerra elettronica altamente segreto», progetto cui è stato destinato un primo finanziamento comune di 181 milioni di dollari. E’ questo un campo in cui Israele ha finora cooperato solo con gli Stati uniti. Ciò significa che l’accordo italo-israeliano è stato preventivamente approvato dalla Casa bianca, che punta su Berlusconi, oltre che su Blair, per spingere l’Europa a partecipare, con gli Usa e Israele, alla «guerra globale al terrorismo». Con il memorandum d’intesa l’industria militare e le forze armate del nostro paese sono state coinvolte in attività di cui nessuno (neppure il parlamento) è stato messo a conoscenza. Il memorandum sulla cooperazione militare con Israele stabilisce, infatti, che «le attività derivanti dal presente accordo saranno soggette all’accordo sulla sicurezza», il quale prevede la massima segretezza. Sotto la cappa del segreto militare, avviene e si consuma di tutto. Non va dimenticato, tra l’altro, che Israele possiede armi nucleari. Ciò significa che, nel quadro dell’accordo, alte tecnologie italiane potrebbero essere state segretamente utilizzate per potenziare le capacità di attacco dei vettori nucleari israeliani (i missili Jerico III con una gitta di 5 mila chilometri). L’accordo di cooperazione militare con l’Italia ha contribuito a rendere ancora più letali le armi usate dalla forze armate israeliane nei territori palestinesi.

E questo corrisponde agli “interessi strategici nazionali”. Gli interessi di chi? Non certo quelli della pace, dei diritti della popolazione palestinese e del diritto internazionale: questo accordo arriva proprio dopo pochi mesi dal parere consultivo con cui la Corte internazionale di giustizia, massimo organo giudiziario mondiale, ha stabilito che “l’edificazione del muro che Israele, potenza occupante, sta costruendo nel territorio palestinese occupato, ivi compreso all’interno e sui confini di Gerusalemme Est, e il regime che lo accompagna, sono contrari al diritto internazionale”. Conseguentemente, secondo la Corte, Israele è tenuto a cessare i lavori relativi al muro, a smantellare i tratti già costruiti, ad abrogare gli atti regolamentari e legislativi che vi si riferiscono e a riparare tutti i danni causati. Di certo non non aiuta il difficile processo di pace necessario tra israeliani e palestinesi aumentare il carico di armamenti presenti nella regione. E che Israele debba essere spinta a rispettare i diritti umani della popolazione palestinese e il diritto internazionale, a partire dalle numerose risoluzioni dell’ONU completamente disattese dai governi israeliani. Per questo è necessaria una politica di sanzioni “mirate” verso il governo israeliano, una richiesta che anche associazioni israeliane impegnate contro l’occupazione e per il rispetto dei diritti umani sostengono, come si può leggere in un documento del “Comitato israeliano contro la demolizione delle case” (Icahd): “ … (noi) sosteniamo il principio di una campagna di sanzioni contro Israele fino a quando non finirà l’occupazione. Crediamo che una campagna selettiva sia più efficace… Icahd chiede che Stati Uniti, Europa e Asia mettano fine alla vendita a Israele di armi che siano utilizzate per perpetuare l’occupazione, in accordo con le loro stesse leggi che proibiscono la vendita di armamenti a paesi che siano responsabili di gravi violazioni dei diritti umani”.

Riferimenti:

Gianni Lannes, Il grande fratello. Strategie del dominio, Draco edizioni, Modena, 2012.

Gianni Lannes, Italia USA e getta, Arianna editrice, Bologna, 2012.

Gianni Lannes, Ustica e Bologna. Due stragi senza verità, Mondo Nuovo edizioni, Pescara, 2023.

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=israele

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=armi

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=meloni

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=crosetto

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=conte

https://documenti.camera.it/_dati/leg19/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/067/001v01/INTERO.pdf#page=24

https://documenti.camera.it/_dati/leg19/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/067/001v01/INTERO.pdf#page=38

https://documenti.camera.it/_dati/leg19/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/067/001v01/INTERO.pdf#page=571

https://www.sipri.org/

https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/19/DOSSIER/0/1388305/index.html

https://www.esteri.it/it/ministero/struttura/uama/

https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/ES0109.pdf?_1699366774255