Sveglia!! Stanno facendo passare un prestito bancario come un pensionamento anticipato.

La truffa dell’anticipo pensionistico, col “sì” dei sindacati complici

I complici si vedono nel momento del bisogno. E Cgil-Cisl-Uil sono complici di vecchia data di ogni governo degli ultimi 25 anni, quelli che hanno segnato un accellerato smantellamento delle conquiste raggiunte – a forza di scioperi, botte, arresti, denunce, licenziamenti e morti – dagli anni ’50 a metà degli anni ’70.

Il pre-accordo siglato ieri con il governo è forse un episodio minore nella catena di infamie siglate dalle segreterie dei tre sindacati di regime, ma segna un ulteriore passo verso la completa privatizzazione della previdenza sociale. Va sottolineato come lo stesso governo abbia snobbato l’incontro, col ministro del lavoro – l’ex amministratore della Coop, Giuliano Poletti – che ha lasciato la poltrona vuota, facendosi sostituire dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Tommaso Nannicini (che è peraltro il vero architetto dell’Ape – ci scuserete la citazione deformante). Segno che l’ok di Camusso, Furlan e Barbagallo era stato dato molto prima.

Sul meccanismo dell’Ape abbiamo poco da aggiungere a quanto più volte scritto (edanche qui). La filosofia è quella già esplicitata da mesi: se un lavoratore anziano (oltre i 63 anni) vuole andare in pensione prima dei 66 e 7 mesi previsti attualmente dalla legge Fornero si deve pagare da sé per tutto il periodo dell’anticipo (da una anno a 3 e sette emsi). In pratica, perdere il salario relativo e accettare un assegno pensionistico molto più basso del previsto. Un vero affare…

Eppure la cosa viene presentata come una “concessione”, quasi un “favore” escogitato dalla bontà di un governo che si preoccupa di chi lavora. Se ne preoccupa a tal punto da immaginare sempre nuovi metodi per abbassargli il reddito e svuotare le tasche (un po’ come Banca Etruria e le altre con i correntisti abbindolati, no?).

Qual che c’è di nuovo è l’entità certa della perdita, perché – a meno di improbabili ripensamenti da qui al 21 settembre, quando governo e complici si rivedranno per la firma definitiva dell’accordo – sono finalmente state prodotte delle cifre nero su bianco.

Il governo assicura che l’anticipo sarà a costo zero – bontà sua – per i disoccupati “di lungo corso” (quelli che hanno esaurito ogni possibile ammortizzatore sociale), oltre a disabili e “usurati”. Ma soltanto se l’assegno pensionistico previsto è inferiore ai 1.200 euro netti (circa 1.500 lordi). Oltre questa soglia e comunque se si ha la sfortuna di essere “non svantaggiati”, ti dovrai fare un mutuo ventennale in banca per coprire il periodo di anticipo.

Il “costo quasi zero” di cui parlano i media oggi è riferito ai conti dello Stato, non a quelli dei lavoratori. E la differenza è decisiva.

Chi invece volesse andarsene in pensione prima di restare secco sul posto di lavoro, magari alla tenera età di 63 anni, dovrà farsi bene i conti, perché il buco che si aprirà nel suo bilancio familiare sarà una voragine.

Una prima perdita secca sarà proprio sull’assegno pensionistico: meno 5 o 6% per ogni anno di anticipo (il governo non ha ancora deciso, i complici assentiranno in ogni caso; e va ricordato che si tratta di una percentuale ancora più alta di quelle ipotizzate in precedenza: 3%). In pratica chi si prenderà tutti i 3 anni e sette mesi ci rimetterà tra il 18 e il 21%. Nel caso di un assegno netto atteso di 1.500 euro ci sarà un taglio oscillante tra i 270 e i 315 euro al mese. Il che significa incassare tra i 1.230 e i 1.185 euro.

Ma non è finita. A questa prima sforbiciata bisognerà aggiungere la rata del muto ventennale da restituire. Gli interessi sono a carico dello stato, quindi il calcolo da fare è tutto sul netto, senza altre complicazioni. Teniamo fermo l’esempio appena fatto (assegno netto atteso di 1.500 euro): nel caso di massimo anticipo la banca dovrà prestare 43 mensilità, per un totale di 64.500 euro. Che andranno restituiti in 240 rate mensili, vale a dire 268,75 euro.

A questo punto basta sommare la prima perdita e la seconda per ottenere una sforbiciata impressionante: tra i 538,75 e i 583,75 euro al mese. Quella “favolosa” pensione da 1.500 euro si ridurrebbe così a una miseria: da 961,25 a 916,25 euro mensili.

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Il calcolo fatto non tiene conto, per semplicità delle trattenute Irpef, anche se non è chiaro – al momento – quale dinamica avranno in questo decalage radicale.

In alternativa, e nella misura in cui i fondi depositati lo permettono, si potrà utilizzare il Rita, ossia il prelievo di questi soldi dal fondo pensione integrativo invece che dalla banca. Il risultato però non cambia: si tratta sempre di redditi del lavoratore, accantonati per avere una pensione più dignitosa.

Ovvio che potrà fare questa scelta solo chi ha altri redditi (rendite patrimoniali, case in affitto, ecc), ma la maggior parte sarà costretta a continuare a lavorare e magari a morire sul lavoro.

Una variante intermedia è quella dei lavoratori anziani coinvolti in ristrutturazioni aziendali. In questo caso la penalizzazione sarà “solo” del 3% per ogni anno di anticipo, ossia oltre il 10% dell’assegno pensionistico per i 63enni. Cui bisognerà ovviamente aggiungere le “rate del mutuo”, come nel caso della scelta volontaria.

Come si comprede facilmente, questo sventagliare di percentuali punta a creare una casistica pressoché infinita, tale da dividere i singoli lavoratori in base ad età, anzianità contributiva, tipo di mansione, ecc.

Ma tutta questa operazione, invece, si scarica integralmente sulle spalle dei lavoratori prossimi alla pensione. Lo Stato dovrebbe spendere appena 5-600 milioni, destinati a pagare gli interessi sui mutui pensionistici (dipende ovviamente da quanti lavoratori sceglieranno di passare sotto le forche caudine dell’Ape).

Spesa che salirà un poco (previsti fino a due miliardi, complessivamente) con l’altro punto del pre-accordo: la “quattordicesima” per le pensioni minime, oggi al di sotto dei 750 euro lordi, fino al limite dei 1.000 (lordi, ovviamente). Altrettanto ovviamente non sarà la stessa cifra per tutti, ma a scalare (una quattordicesima vera e propria per i livelli mionimi, quelli a 501 euro mensili, e un “bonus” che diminuisce progressivamente verso i 1.000. Il resto sono solo promesse (tipo gli “80 euro mensili per tutti i pensionati”, ma solo “quando i conti pubblici lo permetteranno”.

 

fonte: contropiano.org

tratto da: siamolagente3