Oggi però l’aula di Montecitorio ha approvato due emendamenti presentati da deputati Dem con l’effetto di abolire proprio l’articolo 6: la gestione non sarà più obbligatoriamente pubblica, ma lo sarà soltanto «in via prioritaria». I deputati Cinquestelle e quelli di Sinistra Italiana hanno protestato contro «l’arroganza della maggioranza» e Federica Daga ha ritirato la propria firma al disegno di legge lanciando l’hashtag#lacquanonsivende. Che il governo non avesse alcuna intenzione di assecondare la volontà politica espressa con il voto referendario del 2011 era già emersa con il decreto Sblocca Italia del 2014, il cui mantra è concentrare la gestione in mano a pochi soggetti (un gestore unico che già offra il servizio ad almeno un quarto della popolazione di ciascun Ambito territoriale) e per forza di cose molto strutturati (leggasi multinazionali e grandi multiutility).
Altro che “fuori il profitto dalla gestione dell’acqua”, come recita uno slogan dei comitati. Questi ultimi ricordano il richiamo del presidente del Consiglio all’epoca del voto referendario: «Niente giochini come in passato per far finta di nulla» aveva detto l’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi. E in un certo senso ha mantenuto l’impegno: non ha fatto finta di nulla, ha direttamente fatto un’inversione a U cancellando la volontà popolare.