È solo l’ultimo campanello d’allarme che la terra sta lanciando e la dice lunga sul reale impatto ambientale dello sfruttamento di gas di scisto e sabbie bituminose. Questa volta, se possibile, il terremoto è stato anche più virulento che in passato. Testimoni riferiscono che la scossa è durata almeno un minuto, ben più della solita manciata di secondi. La governatrice Mary Fallin ha emesso subitoun’ordinanza che obbliga 35 pozzi di smaltimento delle acque reflue della fratturazione idraulica a chiudere immediatamente, sparsi su un’area di 500 miglia quadrate.
È questa infatti la causa scatenante dei sommovimenti della crosta terrestre in Oklahoma: lo scarico ad altissima pressione, nel sottosuolo, delle acque usate per il fracking. Questi fluidi, composti da acqua, sabbia e sostanze chimiche – molte delle quali tossiche – vengono prima parzialmente risucchiati insieme al gas. Una volta recuperati gli idrocarburi, vengono poi definitivamente smaltiti in formazioni rocciose profonde. Il riconoscimento ufficiale del nesso tra terremoti e fratturazione idraulica è stato oggetto di una lunga battaglia, conclusa solo nei primi mesi del 2015.
Ma da allora poco o nulla è cambiato. I siti dei pozzi sono stati inseriti nelle mappe del rischio sismico nel marzo scorso, ma l’industria dello shale è tutt’altro che in fase di frenata complici anche i posti di lavoro creati: solo in Oklahoma contano per il 25% del totale. Circa 1,5 miliardi di barili di acque reflue sono stati smaltiti sotto terra in Oklahoma lo scorso anno.
Nel frattempo la situazione sismica peggiora. L’Oklahoma oggi trema a un ritmo 600 volte maggiore di quello precedente il 2008, in media 2,5 scosse al giorno superiori ai 3 gradi di magnitudo. Storicamente, il quell’area il livello 3 veniva superato solo due volte l’anno: negli ultimi due, invece, l’asticella ha fatto un balzo in avanti. Basti pensare che il numero di terremoti del 2014-2015 è quasi pari a quello registrato per l’intero millennio precedente.