Le cinque sorelle Rothschild che affamano il mondo

Chi? Come? e Perché? Ha ridotto e mantiene alla fame il Mondo?

Ovviamente il “main stream” del monopolio mediatico globale non parla mai di chi ha il monopolio del cibo a livello mondiale!…

E perché mai dovrebbe farlo?…

Se lo facesse,…  il “main stream” mediatico sarebbe costretto a non poter parlare dei soliti riservati  vassalli del solito riservatissimo Jacob Rothschild che è il Signore, Padrino e Padrone supremo di tutti Monopoli possibili ed immaginabili del Mondo intero, compreso appunto il monopolio mediatico globale di cui lo stesso “main stream” è tirannica controllatissima e censuratissima espressione! Se lo facesse,… il “main stream” mediatico sarebbe costretto a non poter parlare del fatto che Il monopolio mondiale del cibo, di cui le solite riservate “Cinque Sorelle dei Cereali” sono parte assolutamente determinante, regola in modo ferreo la produzione, la distribuzione ed i prezzi del cibo a livello planetario in modo tale da tenere sotto il costante ricatto della fame ben quattro miliardi di persone su sette miliardi della popolazione complessiva mondiale, in modo cioè da poterli sfruttare per fame fino a livelli schiavistici tali che ogni anno ne muoiono quaranta milioni per fame, e dei quali la metà sono bambini!

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“Le cinque Sorelle che affamano il mondo”

di Harm Wulf 

Dall’interessante e, come sempre, documentatissimo saggio Le radici ideologiche dell’invasione di Gianantonio Valli apparso sul numero 52 della rivista l’Uomo libero :

La distruzione alimentare e sociale del Terzomondo

“Non insisterò sul fenomeno” – scrive nel 1911 Werner Sombart- “poco rilevante, del resto, che gli ebrei sono a capo, o almeno per molto tempo sono stati a capo, di parecchi e importantissimi settori commerciali, giungendo a monopolizzarne alcuni: il grano (principalmente nell’Ovest), il tabacco, la lana. Già a prima vista si comprende come si tratti dei tre fasci nervosi principali dell’economia americana, per cui chi detiene il monopolio di questi tre potenti settori dell’economia deve necessariamente svolgere una funzione di predominio nel contesto economico generale. Come ho appena detto, non insisto eccessivamente su tale circostanza proponendomi di fondare la mia tesi del ruolo egemonico degli ebrei su ragioni molto più profonde”.

Nel 2000 le multinazionali con capacità di ricatto mondiale nel commercio di cereali, Cina compresa, sono cinque società per azioni: 4 in mani ebraiche ed una ebreo-controllata, (ben minore è la sesta, l’italiana Ferruzzi, giunta alla ribalta negli anni settanta ad opera di Serafino Ferruzzi e potenziata dal genero Raul Gardini), chiamate in analogia con le compagnie petrolifere “le sorelle del grano”. Nell’ordine:

1) Cargill di Minneapolis, della famiglia amero-scozzese Mc Millan, socio il “bielorusso” Julius Hendel . Prima delle 100 imprese multinazionali agroalimentari elencate da Margherita Scoppola, fatturato totale 1997 di 56.000 milioni di dollari (oltre 100.000 miliardi di lire); con le altre 4 più la Ferruzzi, la Cargill oligopolizza l’80% del mercato mondiale dei cereali e, con Continental Grain, Dreyfuss e Bunge y Born, l’80% di quello dei semi oleosi.
Nel 1978 essa acquista il secondo più grosso produttore statunitense di carne, la MBPXL Corporation di Wichita/ Kansas, mutandone il nome in Excel e trasferendo gli impianti a Dodge City.
Scrive Jeremy Rifkin: “La decicisione di Cargill di aggiungere al proprio portafoglio aziendale attività di lavorazione delle carni bovine rifletteva la tendenza all’integrazione verticale che caratterizzava la scena imprenditoriale degli anni Settanta; segnalava anche il consolidamento finale dell’industria della carne, con il raggruppamento di cerealicoltura, allevamento e macellazione e trasformazione della carne in un unico, grande complesso bovino […].
Oggi, i tre grandi dell’industria della carne esercitano un significativo controllo su quasi tutte le fasi del processo produttivo della carne: posseggono le aziende che producono le sementi utilizzate per le colture di cereali destinati all’alimentazione bovina; producono i fertilizzanti e i prodotti chimici utilizzati sui terreni e sulle colture; sono proprietari di stalle intensive e di mandrie bovine sempre più numerose”.

2)Continental Grain di New York, della famiglia ebraica americana Fribourg. Il capo-casata è Michel, nato ad Anversa nel 1913.
Cento anni prima il bis-bisnonno Simon riforniva di granaglie gli eserciti napoleonici.
La prima filiale oltreoceano viene aperta a New York nel 1922; nel maggio 1940, all’arrivo in Belgio dei tedeschi, Michel si porta negli USA con tutti i suoi beni liquidi.
Il commercio con Mosca si apre nel 1963 con la vendita di 800.000 tonnellate di grano; nel novembre 1971 viene contratta la vendita di 2,9 milioni di tonnellate di cereali, soprattutto grano, orzo ed avena; nel luglio 1972 la cessione all’URSS al prezzo politico di 1,68 dollari a buschel porta ad un rialzo dei prezzi sul mercato americano che giunge a 5,24 dollari, mentre il mais triplica e la soia quadruplica per compensare il basso prezzo applicato all’URSS. Nel 1999 la CG si fonde con la Cargill a formare il supercolosso del settore alimentare.

3) Dreyfus di Stanford e Parigi, della famiglia “francese” Louis-Dreyfus.

4) Bunge y Born di Buenos Aires, della famiglia “argentina” Hirsh (tredicesima nell’elenco Scoppola con fatturato 1997 di 12.000 milioni di dollari).

5) Granac di Chicago e Losanna, fondata nel 1877 dalla famiglia “svizzera” André, la quale, in difficoltà negli ultimi anni Novanta, nel marzo 2001 alza bandiera bianca davanti a 43 banche creditrici, affidandosi a una procedura fallimentare.

Come scrive Giovanni Cesare Bianco, tale pentacipite superlobby economico-politica, mai quotata in borsa e che non pubblica bilanci, è “molto aggressiva e determinata verso potenziali rischi e concorrenti, spregiudicata e rapace nei rapporti con i contraenti, produttori ed acquirenti, quanto illuminata nei rapporti internazionali, votata al superamento della guerra fredda , alla composizione pacifica di ogni tensione locale o mondiale, alla massima apertura dei mercati e ad una politica internazionale molto avanzata e democratica, specie col blocco dei paesi comunisti ed asiatici […]

L’espansione innesca un nuovo ciclo di lotta oligopolistica nello schieramento ricordato, violenta e senza esclusione di colpi, quindi con costi elevati ed esiti incerti, e ciò pur in presenza di una situazione configurabile come oligopolio collusivo su scala mondiale. Conseguenti ripercussioni sono l’esaltazione dei corsi sui mercati, relativa inefficienza e sotto utilizzazione delle capacità produttive, possibilità di operare in termini fortemente speculativi”.

Similmente Tony Spybey: “ Le operazioni di queste società sono talmente estese che, considerata l’importanza del grano nella dieta umana, nel loro complesso esse formano il nucleo centrale del sistema alimentare globale.

La portata delle loro operazioni è talmente vasta che esse impiegano la tecnologia satellitare per stimare l’offerta globale quando i cereali stanno ancora crescendo nelle praterie e nelle steppe dei vari continenti.

Morgan [in Merchant of Grain, Viking Press,1979] le presenta in questi termini: “Le società dei cereali furono coinvolte nel caso delle tanto controverse e pubblicizzate vendite di grano americano all’Unione Sovietica nel 1972. Fu solo però nell’anno successivo che, con il quadruplicarsi del prezzo del petrolio, si approfondì la consapevolezza dell’opinione pubblica sull’importanza strategica delle risorse fondamentali”. Come già accennato, infatti, la crisi del petrolio del 1973 portò lo scompiglio nei prezzi delle merci internazionali. Il grano, essendo un alimento di prima necessità, e anche un bene essenziale e strategico a tutti i livelli, eppure il corso delle azioni di queste società non viene quotato in Borsa, esse non pubblicano dei rendiconti e nel complesso sono controllate da un oligarchia di sette famiglie. Si tratta di società che esercitano un impatto certamente transnazionale su una rete integrata di domanda e offerta, che comprende agricoltori, intermediari, spedizionieri, mugnai, fornai, supermercati e consumatori in tutti e cinque i continenti”.

Della potenza delle Cinque Sorelle relaziona anche la Scoppola: “Pur svolgendo un ruolo centrale nel funzionamento dei mercati di alcune commodities [derrate] di base, le sei multinazionali sono rimaste nell’ombra per alcuni decenni. Questo alone di riservatezza, e perfino di segretezza è stato anche favorito dalla struttura proprietaria delle imprese: una sola famiglia, infatti, controlla le quote di maggioranza della casa madre e di quasi tutte le filiali; inoltre i Manager del gruppo provengono frequentemente dalla stessa famiglia o sono comunque legati ad essa attraverso rapporti di parentela. La concentrazione della proprietà e del management nelle mani di una sola famiglia ha consentito alle multinazionali di operare in un clima di estrema riservatezza, non dovendo rendere conto all’esterno delle strategie di impresa”.

La potenza delle Cinque Sorelle si esplica anche in politiche aziendali volte alla diversificazione in sempre nuove attività, tendenzialmente tutte a rischio contenuto, nei settori bancario, assicurativo, immobiliare e industriale. Di converso, confrères attivi in altri campi prendono sotto tutela altri settori alimentari strategici: vedi il superspeculatore ebreo ex- “ungherese” George Soros, che dopo avere investito miliardi di dollari in giganteschi complessi alberghieri e per uffici a Città del Messico, partecipato ai venezuelani Banco Provincial e Fondo de Valores Immobiliaros, a Bogotà al Banco de Colombia, in Brasile a ditte immobiliari e alla telefonica Telebras, a ditte immobiliari guatemalteche e, quanto all’Argentina, ad imprese di costruzione, catene alberghiere, centri sportivi, centri commerciali e primarie ditte immobiliari, prende sotto controllo il più vasto dei parchi-bestiame argentini, comprendente, a fine 1997 oltre 16.000 capi.

E a fine secolo tutti i settori affaristici sono talmente intricati che il mondo assiste, impotente, ai più impensati, ma sempre remunerativi, sconfinamenti. Nessuna sorpresa, quindi, se Arianna Daghino ci avverte – oltre che delle consimili imprese della Virgin dell’ “inglese” Richard Branson e della Monsanto dell’ebreo superamericano Robert Shapiro, che acquista terreni in Africa per sperimentare, indisturbata, le nuove redditizie culture transgenetiche approvate dal confratello ebreo Gary Goldberg, capo dell’American Corn Growers Association, “Associazione dei coltivatori americani di grano” (nel 1999 negli USA sono transgenici il 40% del raccolto di mais e il 60% della soia) – che Soros , “il genio delle speculazioni finanziarie”, punta ora “sull’Africa, sull’agricoltura, sulla natura e su un bene che è destinato a scarseggiare: lo spazio territoriale”:

“Saremo pure all’economia delle idee a alla ricchezza impalpabile dei flussi di informazione, ma la terra, bene fisico per eccellenza, rimane un asset [risorsa]”. E George Soros l’ha capito. Mentre i più fanno a gara per salire sul vascello dell’information technology, alcuni grandi investitori internazionali stanno puntando su ciò che l’Occidente pensava già di dover gettare fuoribordo: la terra. Terra come fornitrice di materie prime, di beni agro-industriali o minerali; terra su cui costruire case e complessi turistici; terra semplicemente come spazio territoriale (un bene che, a differenza delle idee, è limitato e tende sempre più a scarseggiare).

“Ma dove stanno acquistando i finanzieri delle city di New York e Londra? Soprattutto nel continente dimenticato, l’Africa. E’ questa la prospettiva strategica di società di investimenti come la londinese Blakeney Management – specializzata in mercati emergenti e unica, nel suo genere, a focalizzare i propri interessi esclusivamente in Africa e nei Paesi Arabi – che oltre a investire in azioni sulle borse locali ha cominciato ad acquisire società proprietarie di tenute e piantagioni.

Dietro Blakeney Management ha fatto spesso capolino George Soros […] Il Soros Fund Management, infatti, fa parte del consorzio di investitori stranieri che, capeggiato da Blakeney Management, nel 1997 divenne il maggior azionista di African Lakes Corporation, una trading company [ da to trade “commerciare/trafficare/approfittare/speculare”, e quindi: compagnia di commercio/speculazione] quotata a Londra e da oltre un secolo attiva nell’Africa subequatoriale, dove è proprietaria, soprattutto in Malawi e Zimbawe, di piantagioni e foreste. La stessa African Lakes ha ora acquistato Automotive Export Supplies, distributore di Land Rover e BMW in dodici paesi africani”.

Inoltre, “la presenza invisibile” di George Soros si fece sentire anche quando nel 1998 Blakeney Management – il cui fondo di investimenti per l’Africa include una coppia di banche newyorkesi e due fra i maggiori fondi pensione inglesi – divenne insieme ad African Lakes il maggior azionista di Lonrho Africa, una delle più importanti trading company del continente , quotata sia a Londra che a Joannesburg. Con sede a Nairobi, Lonrho Africa è proprietaria di grandi piantagioni di cotone, tè, canna da zucchero, enormi fattorie per l’allevamento del bestiame e immense foreste da taglio. I suoi interessi, radicati anche nel turismo e nella distribuzione di auto e macchinari industriali, toccano Ghana, Kenya, Uganda, Mozambico, Sudafrica, Mauritius, Zambia e Malawi. Sempre fra le società con un interessi in Lonrho Africa si trova un altro dei protagonisti di questo nuovo scramble for Africa [lotta per l’Africa]. E’ African Plantation, anch’essa associata a Soros. African Plantations Corporation è costituita da un gruppo di finanziatori lungimiranti, “ convinti che le grandi piantagioni del continente abbiano di fronte a sé un futuro promettente, alla luce della crescente domanda di prodotti agro-industriali sui mercati internazionali e della concomitante riduzione di terre arabili nel resto del mondo2, come recita il profilo aziendale. Ha acquistato grandi piantagioni di tè e caffè di tutta l’Africa, con ramificazioni anche nelle foreste da taglio e nelle piantagioni di alberi della gomma […] D’altronde pur un avveduto e ascoltato international investitor come Jim Rogers, da un anno in giro per il pianete per analizzare di persona i vari mercati, consiglia di puntare sulle materie prime: riso, cotone, lana, prodotti minerari. Tutta ricchezza che si può ancora toccare con mano”.

A causa della politica agricola condotta dall’Occidente, in testa gli USA, nei confronti del Terzomondo, le gigantesche holding multi-transnazionali, in ispecie le Cinque Sorelle dei cereali, sono le responsabili prime di tutta una serie di fenomeni innescati… (segue. Si raccomanda la lettura integrale del saggio.)