La spazzatura dell’oceano diventa una risorsa edilizia

L’inquinamento degli oceani è ad un livello critico: oggi nei nostri mari finiscono circa 8 milioni di tonnellate di plastica l’anno e senza adeguate misure di contrasto il problema assumerà nel prossimo futuro i contorni di uno tsunami: secondo le elaborazioni della Ellen MacArthur Foundation entro il 2050 nelle acque del Pianeta ci saranno più rifiuti polimerici che pesci. Mentre gli studiosi invitano a ridurne la produzione a monte e ad incentivare le pratiche di riciclo, c’è chi si sta già operando per ripulire gli oceani, creando nuove opportunità di business.

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Un esempio? La ByFusion, startup statunitense che ha ideato un modo per mettere a frutto tutti questi rifiuti: riciclarli in blocchi di costruzione. Il metodo utilizzato è basato su un’idea dell’ingegnere e inventore Peter Lewis dalla Nuova Zelanda, ora assunto dalla ByFusion. “Abbiamo acquistato la proprietà intellettuale e sviluppato una piattaforma per portare il concept negli Stati Uniti e realizzare le cose in una scala molto più grande”, spiega Gregor Gomory, CEO di ByFusion. Con una pressa modulare i rifiuti in plastica sono compressi in blocchi di forma e densità differente, a seconda dello scopo futuro. Il risultato è stato battezzato Replast. E anche se non sono in grado di svolgere lo stesso lavoro del calcestruzzo (in termini di resistenza alla compressione), le loro proprietà di isolamento sono molto più convincenti. “I blocchi Replast hanno caratteristiche incredibili in termini trasferimento di calore e di suono”, aggiunge Gomory. “Potremmo utilizzarli integrati alle normali strutture di costruzione come elementi di riempimento”.

Per ora però, ci si deve affidare solo alle parole dell’azienda perché non sono state pubblicate né specifiche tecniche né valori di riferimento per quanto riguarda l’isolamento. Si sa tuttavia che i blocchi non richiedono colle o adesivi, possono contribuire alla certificazione LEED per l’edilizia e possiedono un peso in termini di emissioni di gas serra del 95 per cento inferiore rispetto ai blocchi di cemento. Se il progetto dovesse andare in porto, consoliderebbe la lista delle starup e aziende che negli ultimi anni hanno guardo ai rifiuti marini per creare qualcosa di nuovo, sostenibile ma soprattutto economicamente fruttuoso. Basti pensare alla Bureo che in Cile recupera le vecchie reti da pesca e le trasforma in skateboard, o alla Adidas che, in collaborazione con Parley for the Oceans, ha dato vita ad una T-shirt tecnica realizzata con la plastica marina recuperata.

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