Brasile in crisi ma Soros ci fa i miliardi

Da Gli Occhi della Guerra

Nello shopping Cidade Jardim, il tempio del lusso a San Paolo, lo spettacolo è desolante. Vetrine all’ultima moda fanno da contrappunto a corridoi vuoti. Chi ci viene al massimo fa un giro, poi torna a casa. Anche per il ceto medio-alto, infatti, la crisi brasiliana si fa sentire, in modo pesante. E se proprio si volesse una conferma basta farsi un giro in uno dei supermercati a prezzi più popolari “Extra” che vendono ancora ma che sono stati costretti a inventarsi dei giorni di super-offerte per invogliare la popolazione a comprare. “Nonostante ciò è tutto molto caro – spiega la signora Neusa mentre spinge il suo carrello – e con questa crisi che stiamo passando dobbiamo cercare i prezzi più bassi quando facciamo la spesa”.

Già perché per l’ottavo trimestre consecutivo il Brasile registra un calo nella sua produzione nazionale, il PIL è crollato del 10% da fine 2014 – solo lo scorso anno il tonfo è stato del 4,6% – e la crisi economica continua ad andare a braccetto con una crisi politica ed istituzionale sempre più difficile. Anche perché il quadro già di per sé disastroso è accompagnato ovunque da un aumento esponenziale della violenza.

Il Brasile vive la sua crisi più pesante di sempre. Oggi dodici milioni di persone sono senza lavoro, pari al 12% della popolazione attiva, ma se si prendesse in considerazione anche chi riceve sussidi statali come il Borsa famiglia – esclusi dall’ottimistico calcolo dell’Istat verde-oro – il numero salirebbe a 30 milioni, ovvero ben oltre il 30%. E che la situazione sia davvero critica lo dimostra il fatto che la Banca Mondiale ha già lanciato l’allerta. Se lo scenario non muterà subito già nel 2017tre milioni e 600 mila brasiliani torneranno a vivere, anzi a sopravvivere, sotto la soglia della povertà. E così il paese Brics teatro di un boom economico senza precedenti – con una crescita del PIL nel 2010 dell’8% – negli ultimi due anni e mezzo ha visto un decimo della sua produzione andare in fumo ed è imploso, sotto il peso degli scandali politici e della corruzione dilagante che ha saccheggiato le ricchezze più preziose del paese del samba.

Alle persone comuni adesso non resta che fare i conti con un quotidiano dove l’inflazione – almeno la percepita, molto più alta di quella ufficiale – la fa da padrone ed i prezzi al supermercato aumentano di continuo. Per Marcos Lima, disoccupato da oltre tre mesi, la vita sta diventando sempre più difficile ed i colloqui un terno al lotto: “Ci sono molti candidati per pochi posti”, spiega. Come conferma anche la responsabile risorse umane di una grande impresa, che preferisce rimanere anonima: “Stiamo licenziando molto più di quanto assumiamo perché in questo momento le aziende non riescono a sostenersi come facevano due o tre mesi fa”.

Eppure se si guarda alla finanza sembra di vivere in un altro Brasile, un paese euforico con l’indice Bovespa alla soglia dei 70 mila punti come nel 2010 quando il boom del paese del samba era ai suoi massimi, con una moneta, il real, sopravvalutatasi del 50% su euro e dollaro nell’ultimo anno e dove banche private come l’Itaú sono tra le più floride dell’America Latina. Insomma da paese del futuro il Brasile sembra si stia trasformando nuovamente in un paese di grandi speculazioni finanziarie internazionali.

Basti guardare ai movimenti di George Soros che compra le azioni della Petrobras, la petrolifera statale, appena lo scandalo della Lava Jato – la Mani Pulite locale – comincia, per poi rivenderle nel 2015 e ricomprarle nel novembre del 2016. Per non parlare di Amazzonia e dintorni. Il governo sta lavorando ad un progetto di legge che liberalizza la vendita di terra a capitali stranieri, fino a 100 mila ettari a persona. Potrebbe essere il de profundis ambientale globale ma pare interessi poco ai media mainstream più impegnati a registrare ogni sospiro di Trump. Insomma, un Brasile in svendita ai soliti proprietari di quelle 140 multinazionali che nel mondo globalizzato di oggi non pagano le tasse e hanno molto più potere di qualsiasi capo di stato.

 

fonte occhidellaguerra.it