Sudditi: la verità che nessuno vuole. E buone elezioni a tutti

Gli slogan elettorali nell’Italia del 2018? Piccoli corvi, che banchettano sui resti di un cadavere. «Voi ora vivete in uno Stato che non esiste più, avete delle leggi che non contano più niente: la vostra sovranità economica non esiste più». La voce sembra quella del vecchio marinaio di Coleridge, che insiste nel raccontare una storia atroce, che nessuno vuole ascoltare: la storia di un naufragio che si trasforma in catastrofe, dove ciascuno tenta disperatamente di sopravvivere a spese degli altri. E’ inaccettabile, il racconto del superstite. Troppo duro da digerire: «Nell’arco di pochi decenni, sono riusciti ad ammazzare la cittadinanza occidentale: eravamo persone capaci di cambiare la propria storia. L’Italia, con un solo partito e una sola televisione, ha fatto divorzio e aborto: eravamo figli del Vaticano ma siamo riusciti a ribaltare il paese». Dov’è finita quell’Italia? Davanti al televisore, ad ascoltare le amenità di Renzi e Grasso, Berlusconi e Di Maio. Di loro si occupano i giornalisti, gli stessi che ignorano l’altro giornalista, quello vero. Il vecchio marinaio. Il folle, l’eretico. L’ostinato reduce che insiste nel raccontare la verità che nessuno vuole sentire. Verità semplice e drammatica: c’è solo una politica in campo, quella del vero potere. E’ il potere antico, quello dei Re. E si è ripreso tutto. Distruggendo cittadini, leggi e Stati.

Paolo Barnard lo chiama «il più grande crimine commesso in Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale». Una storia cominciata almeno 80 anni fa: «Qualcuno si pose il problema di far tornare in auge le élite assolutiste che avevano sempre dominato l’umanità, nei millenni». E’ una storia complessa eppure semplice, utile da riascoltare: per secoli, il potere feudale ha agito incontrastato, sbattendo in galera e mandando sulla forca chiunque gli desse fastidio. Per farlo crollare c’è voluta la Rivoluzione Francese, nel ‘700. Dalla Presa della Bastiglia è cominciato un percorso “miracoloso” che si è sviluppato fino al ‘900, periodo in cui «si è realizzata la grande idea degli Illuministi, per ricacciare indietro il potere assolutista». Barnard lo chiama: il Tridente. Un forcone a tre punte: «Gli Stati, le leggi fatte dagli Stati, e il popolo che legittima gli Stati e le leggi». In altre parole, la democrazia partecipativa: roba mai vista prima, nella storia dell’umanità. «Questo Tridente era riuscito, dall’Illuminismo in poi, a ricacciare queste élite sempre più indietro, fino alla modernità». L’antica oligarchia aveva perso ogni privilegio e si è dovuta nascondere. Ma ha resistito. E negli anni ‘20-30 del ‘900 ha cominciato a pensare che fosse ora di spegnerlo per sempre, l’Illuminismo dei diritti democratici. Fine della ricreazione, si torna all’antico. L’Unione Europea? Una loro invenzione. L’euro? Il loro capolavoro.

Riascoltare Barnard, impegnato in conferenze in giro per l’Italia su questo tema già nel 2010, è letteralmente sconfortante, in una vigilia elettorale dominata dalle risse sul canone Rai di Renzi e sull’elemosina per i sudditi che Di Maio chiama “reddito di cittadinanza”. La storia del grande naufragio, quella del vecchio marinaio, è in realtà la cronologia di un golpe orwelliano contro la democrazia, che il mainstream giornalistico e politico si rifiuta di ascoltare. Adottando il metro della criminologia, Barnard fa i nomi: quelli degli americani Walter Lippmann e Edward Bernays, e quelli dei francesi Jean Monnet, Robert Schuman e François Perroux. Eminenti intellettuali, che negli anni ‘20 «si mettono a lavorare al servizio delle élite economiche, per riportarle al potere». In Europa, tra le due guerre mondiali, cementano un’alleanza economica del blocco industriale franco-tedesco, quello che tuttora domina il vecchio continente:.«Sono i veri padroni: i gruppi industriali e finanziari francesi e tedeschi decidono tutto. La Costituzione Europea, il Trattato di Lisbona, è stata scritta apposta per mantenere un equilibrio di parità assoluta tra questi due blocchi; tutti gli altri non contano niente».

Primo obiettivo dei due americani, Lippmann e Bernays: eliminare dalla scena una delle tre punte del Tridente, i cittadini. Lippmann scrive che i cittadini-elettori sono, letteralmente, «degli outsider rompicoglioni». Per Monnet e Schuman siamo «una massa ignorante», che deve mettersi da parte per lasciare il posto alla guida illuminata delle élite. Lippmann e Bernays inventano l’industria della creazione del consenso politico, da cui deriva anche la cosiddetta “esistenza commerciale”, che abbiamo conosciuto come consumismo, insieme alla cultura della visibilità massmediatica. «Si inventano questi strumenti per rincretinire i cittadini, coinvolgendoli all’interno di usi e costumi che li imprigioneranno, facendo leva sull’immagine dei vincenti, nell’illusione di poterli emulare». Consumismo, debito, credito al consumo. «E così eliminano la partecipazione della cittadinanza». E’ l’inizio dell’immane naufragio, nel mare ostile su cui anche l’Italia oggi galleggia come una zattera impoverita e precaria. «In Europa il piano è ancora più perfido e sofisticato, perché devono affrontare le altre due punte del Tridente: eliminati i cittadini, la massa ignorante, gli “outsider rompicoglioni”, restano da eliminare gli Stati e le leggi».

Cosa si inventano quei francesi negli anni ‘30? «Quello che abbiamo davanti agli occhi adesso: l’Unione Europea e l’unione monetaria. Capiscono che, per eliminare gli Stati, bisogna creare delle strutture sovranazionali che abbiano un potere superiore a quello degli Stati. Una Commissione Europea che fa le leggi in Europa, leggi più potenti delle leggi italiane, e un Parlamento Europeo che non conta niente perché non può fare le leggi. Poi si inventano il Wto, con regole sul commercio a cui devono adeguarsi le regole nazionali». Ma soprattutto, continua Barnard, arrivano a inventarsi l’euro, cioè «l’arma finale che ha tagliato la testa agli Stati e alle loro leggi, rovinando democrazia e cittadini». La moneta unica sembra il parto del lavoro europeo degli anni ‘90, opera dei vari Giscard d’Estaing, Prodi e Amato? Errore: nasce molto prima. L’invenzione dell’euro risale addirittura all’epoca del nazismo. Per la precisione al 1943, quando l’economista francese Perroux si inventa l’idea dell’euro «per togliere agli Stati il potere monetario, che è la condizione essenziale per distruggerli: senza la capacità di emettere la moneta – spiega Perroux – lo Stato perde la sua ragion d’essere». Era tutto chiaro, già allora: «Lo sapevano dal 1943 e l’hanno fatto», dice Barnard.

Il piano, che nasce negli anni 20-30, ha una lunga preparazione: il Tridente continua ad avanzare dopo la  Seconda Guerra Mondiale, cresce negli anni ‘50 e ‘60 quando abbiamo le grandi legislazioni sul lavoro, il grande potere dei sindacati, il boom del Pci in Italia, al punto che poi, negli anni ‘70, «tutto il mondo è un po’ di sinistra, cioè abbraccia questi ideali, che sono l’esatto contrario di quello che viene pianificato di nascosto». Proprio gli anni ‘70 rappresentano «l’ultimo abbrivo della speranza nata dagli illuministi». Poi c’è il crollo verticale, perché gli uomini incaricati dall’élite già feudale lavorano moltissimo: «Il vero potere capisce il potenziale di questo piano e comincia a finanziare, a colpi di milioni, i pensatori  che prendono le redini. Così, negli Usa nascono fondazioni per finanziare questa macchina da guerra per la distruzione degli Stati, delle leggi e dei cittadini». La fondazione Rockefeller, la Holy Land, la Volcker, la Atlas. «Girano miliardi agli economisti che cominciano a strutturare il pensiero che poi verrà venduto alle università, e da queste alle istituzioni che fanno i master per la classe dirigente, e da lì ai ministeri di tutti gli Stati che contano». Si cominciano a oliare ingranaggi potentissimi: in Europa l’austriaco Frederich Von Hayek fonda la Mount  Pélérin Society, che diventa il centro di questa riscossa del vero potere, mentre in parallelo in Gran Bretagna sorgono l’Institute for Economic Affairs e il famigerato Adam Smith Institute.

Nemmeno in Italia l’élite resta alla finestra: nel 1957 nasce il Cuoa, Centro Universitario di Organizzazione Aziendale. «Nessuno lo conosce, eppure da lì sono usciti Marchionne, Doris, Profumo, la Marcegalia, Montezemolo». Insieme al Cuoa nascono la fondazione Prometeia di Andreatta, il Cmss, l’Istituto Bruno Leoni, Nomisma di Prodi. «Gruppi di studio e fondazioni: organismi «lubrificati da miliardi, sempre per creare questa classe dirigente per portare avanti l’ideologia che deve distruggere gli Stati e le leggi, dopo aver avviato la distruzione dei cittadini-elettori». Una marcia inarrestabile, accelerata in modo formidabile negli anni ‘60-70, negli Usa, da due economisti decisivi, Karl Brunner e Milton Friedman. «Due uomini dell’estrema destra economica che cominciano a masticare una questione che diventerà famigerata: il fantasma del debito pubblico e quello dell’inflazione». Gli uomini dell’élite infiltrano le università, «raccontando di questo pericolo che minaccia gli Stati: sono loro che fanno il grandissimo lavoro per creare il fantasma che paralizzerà gli Stati». La scuola di Friedman, quella dei Chicago Boys, «sosterrà tutti i regimi di destra, economici e militari, a cominciare da quello di Pinochet in Cile».

Altro colpo d’ala: l’intuizione, in America, della fondazione Heritage. Il suo leader, Edwin Feulner, ha un’idea fondamentale per la gestione della politica: le parole d’ordine devono essere semplici, velocissime, ridotte a slogan. Letteralmente, «idee svelte per politici che vanno di fretta». Comincia così l’industria delle lobby, osserva Barnard. «I lobbysti scrivono dei “paper” dove, in tre parole, danno istruzioni ai politici su qualsiasi tema – immigrazione, lavoro, flessibilità. Li nutrono con queste idee. Ed è il grande salto: diventano molto veloci, le lobby che assediano i nostri politici ogni giorno». Politici che, come sappiamo, ormai «ripetono a memoria questi messaggini, che sono efficaci e fanno presa sul pubblico». Un capolavoro della Heritage Foundation: ridurre la politica a spettacolo, a colpi di slogan. Questo imprime una grande accelerazione alla restaurazione del potere, che sta tornando in mani antiche. «E’ come un virus: negli anni ‘60 e ‘70 è in stato di latenza, di incubazione avanzata». Per far esplodere il morbo negli anni ‘80 servono ancora alcuni passi decisivi: affidati all’avvocato d’affari Lewis Powell, su incarico della Camera di Commercio Usa, e agli autori del rapporto “La crisi della democrazia”, sollecitato dalla Commissione Trilaterale.

A Powell, poi giudice della Corte Suprema, nel 1971 viene chiesto un memorandum che detti i passaggi finali della riscossa storica dell’antico potere pre-moderno. Powell è micidiale: gli bastano 11 paginette per dire che serve una pianificazione a lungo termine. Sembrano istruzioni militari: «Dovremo essere disciplinati per un periodo illimitato, finanziati con uno sforzo unificato, competenti e presenti nei media, nei convegni, nell’editoria, nella pubblicità, nelle aule dei tribunali, nelle commissionli legislative». Le nostre presenze, scrive, «dovranno essere superbamente precise e di eccezionale livello». Detto fatto: le indicazioni di Powell sforneranno “soldati” di ferro: «Giudici, politici, economisti, consiglieri, docenti universitari, burocrati ministeriali». Non solo: «Dobbiamo colonizzare tutti gli editori che pubblicano testi di economia», raccomanda l’avvocato di Wall Street, «perché nelle università dovranno finire i nostri testi». Infatti, annota Barnard, «non c’è più una facoltà di economia, nel mondo occidentale, che non insegni il solito dogma neoliberale».

Quattro anni dopo Powell, nel 1975, entrano in azione tre economisti: lo statunitense Samuel Huntington, il giapponese Joji Watanuki e il francese Michel Crozier. «Il loro rapporto per la Trilaterale, “The crisis of democracy” raggela il sangue», dice Barnard. La storia del successo della democrazia, scrivono i tre, sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno di valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media. “Esistenza commerciale” e cultura della visibilità. E aggiungono: «Il funzionamento di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi». Apatia, capito? «Cioè: dovete diventare degli stupidi apatici, che non partecipano», sintetizza Barnard. «C’era una forza lavoro che ribolliva, sindacati che facevano ancora il loro lavoro». Per questo, Huntington e compari raccomandano di «distruggere i sindacati, attaccare il radicalismo della lotta». Capiscono che il pericolo, per il potere, non è il riformismo, ma il radicalismo delle idee. Spiegano, infatti: «Quando il radicalismo perde forza, diminuisce il potere dei sindacati di ottenere risultati». Aggiungono: «Dobbiamo inventarci la concertazione: essa produce disaffezione da parte dei lavoratori, che non si riconoscono in quel processo burocratico e tendono a distanziarsene». E questo, concludono, «significa che più i sindacati accettano la concertazione e più diventano deboli, meno capaci di mobilitare i lavoratori e di fare pressione sui governi».

Non a caso ora siamo al precariato come normalità: «Hanno reso plausibile l’inimmaginabile». Gli mancava un ultimo tassello: i politici, per varare finalmente le leggi che il potere oligarchico incubava dagli anni ‘30. «Fra il ‘79 e l’81 – riassume Barnard – il piano arriva a maturazione politica nelle nazioni che contano: Reagan negli Usa, la Thatcher nel Regno Unito, Mitterrand in Francia e Kohl in Germania. Hanno fatto poker: il mondo è in mano a questa gente. Si celebra la vittoria del ritorno al potere dell’élite assolutista. Questi i loro alfieri politici, completamente comandati. Sono riusciti a comprare il destino di milioni di persone come noi». Tre politici conservatori, e uno teoricamente progressista: il capo dell’Eliseo. «Mitterrand è un caso particolarmente sinistro», sostiene Barnard: «Doveva riabilitarsi, dopo un passato da fascista nel regime di Vichy. Non a caso, proprio dal socialismo francese prenderanno spunto il socialismo rampante italiano e il socialismo di destra del New Labour di Tony Blair».

Alain Parguez, all’epoca prestigioso consulente economico di Mitterrand, poi “pentitosi”, scrive: «Neppure Marx avrebbe mai osato immaginare quanto i soldi potessero ottenere: comprarsi il sostegno elettorale dei cittadini e la schiavitù di intere nazioni». Ma come hanno fatto, in trent’anni, a impedire agli Stati di rendersi conto del fatto che sarebbero stati distrutti? Come hanno fatto a evitare che un economista, un giornalista, un intellettuale si domandasse cosa stesse succedendo? A partire da Brunner e Friedman, risponde Barnard, si sono inventati il fantasma dell’inflazione e quello del debito pubblico. «E con questo doppio fantasma, attraverso quel poderoso network di pensatori che ha colonizzato ogni centro decisionale, hanno terrorizzato e paralizzato gli Stati, impedendo loro di accorgersi che, quando avevano la sovranità della moneta (ecco perché Perroux si inventò l’euro nel ‘43), potevano tranquillamente creare piena occupazione, stato sociale e ricchezza nazionale, spendendo a deficit senza limiti di spesa». Chiarisce Barnard: «Il debito pubblico non conta niente, lo Stato non lo deve mai ripagare: non è il debito dei cittadini, è la loro ricchezza».

L’inflazione? «Non è un problema. L’Italia è entrata nel G8 con un’inflazione che era 7-8 volte quella di oggi». E a proposito di debito pubblico: «Quello del Giappone è il 200% del Pil: qualcuno ha mai sentito parlare del Giappone in crisi?». Eppure, per mezzo secolo, i lavoratori sono stati oppressi da salari bassi e servizi sociali inadeguati. «Non era necessario, non era una necessità economica: era tutto inventato grazie ai fantasmi cucinati da questi economisti per frenare gli Stati». E perché? «Perché se gli Stati si accorgono di poter spendere, “fregano” il potereprivato». Avverte l’insigne monetarista americano Randall Wray: «Se fosse compreso che il governo non ha limiti di bilancio, potrebbe spendere come gli pare, acquisendo una fetta troppo grande delle risorse nazionali». Inteso: troppo grande per gli appetiti del business privato, di cui si è appropriata l’élite. Taglia corto Joseph Halevi, economista italo-australiano: «Quello che è in gioco è la totale privatizzazione della finanza pubblica, e dunque la distruzione degli Stati. Bisognava privatizzare la finanza pubblica e distruggere gli Stati». Ancora: «La piena occupazione dà potere agli Stati, la disoccupazione e la flessibilità gli spezzano la schiena».

Il motivo per cui hanno deregolamentato tutta la finanza, eccetto quella pubblica, «è che si è data mano libera ai privati ma imprigionando i governi, perché sennò diventavano troppo potenti», insiste Barnard. «I governi non dovevano accorgersi che potevano creare ricchezza, occupazione e welfare per tutti. Noi dovevamo soffrire, a milioni. E al top di questa piramide criminale, poche migliaia di persone, si accumulava un potere economico inimmaginabile; oggi i derivati della speculazione finanziaria posseduti da pochi individui è pari a 620.000 miliardi di dollari, il Pil Usa è 14.000». C’è qualcuno che può avere ancora dei dubbi su com’è andata la storia? Qualcuno osa ancora mettere in discussione il racconto terribile del vecchio marinaio? Sì, eccome: tutto il mainstream politico e mediatico. Barnard, semplicemente, non esiste. Si parla magari di Padoan, ma non del carcere a cielo aperto chiamato Unione Europea, il cui obiettivo è la demolizione sistematica delle economie nazionali. Silenzio anche sull’Eurozona, il lager che impedisce allo Stato di lanciare la crescita delle aziende. Non si sente, in televisione, la voce di Barnard. Si sente quella dei grillini, dei renziani, dei dalemiani, dei berlusconiani. Il naufragio è rimosso, la verità non è ammessa. Chi ne parla è spacciato. Meglio le ciance sulla buonanima della Costituzione, di fatto archiviata dall’Ue. «Voi ora vivete in uno Stato che non esiste più, avete delle leggi che non contano più niente: la vostra sovranità non esiste più». E buone elezioni a tutti.

Fonte: libreidee