QUIRRA: CI FACEVANO SCAVARE BUCHE PER ESPLODERE OGNI GENERE DI PORCHERIA – RACCONTO SHOCK DI UN MARESCIALLO IN PENSIONE

Il caso Quirra  (uno dei poligoni sardi) riguarda il processo per danni ambientali e alla salute in Sardegna, scaturiti dalle attività militari sull’isola da parte delle forze italiane oltre che della NATO. Di seguito riportiamo la testimonianza in aula.

Tratto da UNIDOS.IO

Quando entra nell’arena del palazzo di Giustizia di Lanusei i kaimani di Stato lo vorrebbero far fuori prima che si sieda nella sedia da testimone.

Lui nemmeno li guarda. Si siede. Non ha nemmeno proferito il canonico giuramento del “dica tutta la verità e nient’altro che la verità” che gli avvocati pagati con i soldi dei cittadini gli saltano addosso come jene fameliche.

Non può parlare! Non ha titolo per testimoniare! Urlano i difensori dei generali.

Loro, gli avvocati di Mattarella e Gentiloni, sanno o immaginano quello che dovrà dire.

Non vogliono correre nemmeno per scherzo il rischio che qualcuno venga a sapere nemmeno per sbaglio le pratiche malavitose dentro il poligono di Quirra!

Secondo la difesa il testimone non può parlare perchè quello che deve dire fa parte di un passato che deve essere oscurato! Finito nel limbo del nessuno deve sapere. Prescritto, secondo i codici.

Lui, Gianni Palombo,maresciallo dell’esercito in pensione, li guarda attonito. Non proferisce verbo. Ammutolito davanti a tanta preventiva acrimonia nei suoi confronti.

Attende la fine della contesa verbale con uno sguardo allibito.

Il Giudice, dopo la rissa degli avvocati di Stato, ammette la sua testimonianza.

Valuterà in seguito se ritenerla valida o meno ai fini processuali.

L’interrogatorio può iniziare.

Il Pubblico ministero fa preamboli per chiedergli cosa faceva dentro il poligono di Quirra.

Palombo non ha tempo da perdere. Va dritto, senza curve e arzigogoli, al sodo.

Racconta con voce ferma e decisa: il mio compito era ben definito, dovevo scavare buche in zona torri. Buche di 20 metri di profondità e 40 di larghezza. Alle 5 del mattino ero già in zona torri.

A mezza mattina arrivavano i camion carichi di ogni porcheria. Munizioni di ogni genere. Dai proiettili alle bombe ciclopiche. Missili e ogni genere di esplosivi. Caricavano tutto sulla benna della mia ruspa e io le posavo nel fondo del cratere. Ricoprivo tutto e poi l’artificiere faceva il resto. Un cavo di un chilometro almeno. Un colpo secco e si alzava per aria una nube nera alta almeno 50 metri. Secondo il vento si adagiava nei paesi limitrofi. Tutto questo per 20 volte al mese.

Per far esplodere tutto, racconta il maresciallo in pensione, usavamo almeno 800 kg di esplosivo ogni volta.

Gli artificieri verificavano che tutto fosse esploso e che ogni esplosivo fosse stato distrutto.

Il cratere gigantesco serviva per il giorno dopo.

Stessa procedura: colonna di camion carichi di ogni genere di porcheria e poi fungo stile atomico sui centri abitati.

Sulla corona del cratere polveri di ogni tipo: bianche, verdi e nere.

Affiorava l’acqua delle falde, ovviamente contaminata. Il bestiame tutto intorno.

Silenzio, nella gelida sala delle udienze al terzo piano del tribunale ogliastrino.

Quel maresciallo, a cui gli avvocati di Stato volevano tappare la bocca, stava parlando. Raccontava con dovizia di particolari quello che i generali presenti non avrebbero mai voluto sentire: la verità. Nomi e cognomi degli allevatori, dei suoi compagni di squadra. Procedure e poi quella parola: porcherie.

Gli esce spontanea. La ribadisce con naturalezza. Consapevole che quell’ordine datogli 16 anni prima era un atto criminale senza precedenti.

Non si trattava, infatti, di prove di brillamenti come i generali hanno sempre tentato di sostenere raccontando il falso. Si trattava di qualcosa di ben più grave: smaltimento illecito di munizioni, armamenti di ogni genere, contro tutte le regole.

I militari messi a rischio con equipaggiamenti da imbianchini e ambiente devastato. Se ne fregavano di militari, civili e cittadini fuori dalla base.

L’ordine del capo di Stato maggiore era fin troppo chiaro: distruggete tutti questi armamenti.

In realtà le regole prevedevano lo svuotamento dei missili, delle bombe. Una per una. Troppo costoso, però. Meglio usare quei soldi per continuare a foraggiare il sistema. Meglio distruggere bombe cariche di ogni sostanza possibile e immaginabile nel modo più semplice: dentro una buca e un’esplosione.

Roba da galera, appunto.

Gli avvocati delle parti civili non credono alle loro orecchie: quel processo che sembrava naufragato nella mancanza di cartelli segnaletici, si riapre con una testimonianza chiave.

In quel poligono si attentava alla vita. Si faceva di tutto di più.

I dettagli del racconto del maresciallo in pensione sono netti. Circoscritti. Un capo d’accusa grande come quel fungo di polveri nere che calava ogni maledetto giorno sugli abitanti di Escalaplano e dintorni.

E ci credo che volevano tappargli la bocca!

La tesi del fate bene fratelli è crollata come una valanga su un castello di frottole.

Ed ora che quella testimonianza è resa si tenterà di seppellirla!

Non sarà facile. E’ registrata. Incisa parola per parola. E non saranno i giochetti di Stato a cancellarla.

Per quanto mi riguarda la riprodurrò ovunque.

Perchè nessuno dica che siamo contro le basi militari. Siamo contro i crimini! Quelli che hanno ucciso centinaia di donne e uomini.

Militari prima di tutto, sacrificati nel silenzio, senza risarcimento e senza onore, per proteggere mascalzoni e faccendieri delle armi.

Nella sala delle udienze nessuno era in divisa.

L’unica divisa presente è quella dei pastori della zona poligono. Piangono genitori e figli. Morti di cancro!

Ci sono parenti di militari. Privati di figli e mariti.

E poi ci sono in borghese gli uomini con le stellette, quelli che eseguivano gli ordini di Roma.

Fate della Sardegna una discarica, scaricate lì tutte le munizioni da distruggere. Svuotate gli arsenali del Paese. Lo smaltimento si fa nell’isola del sole e dei missili.

Tutti in silenzio. Tutti a proteggere il circuito maldestro e perverso di chi governa i poligoni e gli affari.

Un intreccio perverso tra generali, politica e produttori di armi.

Ma questo è un altro capitolo, con altre sorprese!

Il caso Quirra non è un processo per mancanza di cartelli segnaletici. E’ qualcosa di più: è un processo per disastro ambientale e omicidi di Stato.

E la verità va perseguita sino in fondo, sino ad arrivare alla vetta dello Stato vigliacco!

 

da unidos.io