L’INQUIETANTE TRIBUNALE DEI BEATI PAOLI “I giustizieri del popolo siciliano”

Si radunavano nei sotterranei di Palermo con un cappuccio sulla testa. Celebravano processi segreti contro chi era ritenuto un oppressore dei diritti dei più deboli, e la loro sentenza raggiungeva inesorabilmente i condannati con “il ferro dell’assassino”. Erano i Beati Paoli. Un mito siciliano i cui contorni sono ancora oscuri: giustizieri o feroci sicari? Amici o nemici del popolo? Ma soprattutto, verità o leggenda?  

Di Massimo Centini

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“Negli anni che seguirono il secolo decimoquinto nasce una setta ignorata per molto tempo, la quale aveva per obietto punire quei colpevoli che le leggi o il favore lasciavano impuniti…”. Palermo, 1835. Con queste parole l’ufficiale napoletano Gabriele Quattromani – che prestava servizio nelle truppe borboniche in Sicilia – descriveva per la prima volta in modo chiaro e con un’impronta storiografica il mistero della setta dei Beati Paoli. Grazie a lui i Beati Paoli vennero così posti in una luce nuova, relazionandosi strettamente con una dimensione socio-culturale di maggiore portata rispetto a quella esclusivamente siciliana, che fino ad allora risultava dominante. E Quattromani continuava: “…niuno dava il diritto ad una associazione di privati di giudicare, non ascoltar le difese, punire col ferro dell’assassino un uomo che non riconosceva, non conosceva un tribunale terribile ed inesorato. Era chiamata la setta dei Beati Paoli, era diffusa nella Sicilia, forse anche nella meriggia [del Mezzogiorno NdR] Italia, ma mi è stato detto che i principali reggitori della sette fossero in Palermo, e mi han mostrato pure un sotterraneo di S. Giovanni della Guilla dove ungansi a giudicare. Devoti, rigidi nei costumi, frequenti nelle chiese, caritatevoli, avevano sacramento di punire uccidendo senza misericordia quelli che da essi venivan creduti colpevoli, fossero pure amici, parenti, consorti. A loro ricorreano gli oppressi, e gli oppressori sparian dal magistrato, il sacerdote scandaloso, e guai a colui contro di cui era pronunziata dai Beati Paoli sentenza capitale, quand’anche fosse per ventura avvisato, quando pure fuggisse la terra natale, il ferro dell’assassino giungevalo dappertutto. Io non so come questa terribile setta si estinguesse, e parmi non errare se la credo figlia di quella che in Germania chiamatasi Tribunale segreto Vesfalico o Santo Vehemé o Vehemé Gerichte”. Così scriveva l’ufficiale napolitano nella sua “Lettera su Messina e Palermo di Paolo R. pubblicata per cura di Gabriele Quattromani”, datata 1836.

Quattromani riprese le fonti più antiche: oltre ad una serie di cui parleremo in seguito, fece riferimento soprattutto alle informazioni contenute nel “Voyage en Sicile et dans la Grande Grèce” di Joseph Hermann von Riedesel del 1773, in cui troviamo la seguente descrizione: “Al tempo dell’Imperatore Carlo V [1500-1558, NdR], si formò in Trapani una confraternita chiamata di San Paolo, il cui scopo era di imporre il suo imperio alle autorità e alla cittadinanza come pure di giudicare gli atti di ogni singolo abitante della città; chiunque condannato da quella adunanza plenaria, era irrimediabilmente perduto; e quello dei confratelli incaricato di eseguire cotesto spietato ufficio di morte, doveva senza nulla obiettare togliere di mezzo segretamente l’uomo in segreto giudicato”. E’ un topos molto comune quello di una fratellanza di giustizieri che nell’ombra si riunisce per raddrizzare i torti, ed è tanto più comune in quelle società dove i diritti degli individui non vengono rispettati o fatti rispettare dal potere costituito. Queste sette restano sfuggenti, tanto che di loro si sussurra solo. Ed è difficile distinguere la verità – se c’è – dal mito e addirittura dal desiderio degli oppressi trasformato in leggenda.

E alle radici del mito dei Beati Paoli potrebbe esserci un gruppo chiamato dei Vendicosi. Un’associazione segreta attiva in Sicilia e intorno alla quale si è formata un’aura di leggenda, comunque difficile da eliminare dal tessuto storico. La prima fonte che possediamo è molto antica, risale addirittura al 1185, ed è contenuta nella “Breve Cronaca di un Anonimo Monaco Cassinese”: “Un nuovo genere di uomini, che erano detti Vendicosi, insorse in un luogo del Regno, che il predetto re Guglielmo [Guglielmo II d’Altavilla, re di Sicilia, 1153-1189 NdR] fece parte impiccare e parte di varie pene castigare”. Questa ambientazione contraddice il topos di cui si è appena accennato: Guglielmo infatti è passato alla storia come uno dei migliori e più amati sovrani di tutti i tempi. Ulteriori indicazioni ci giungono attraverso la “Cronaca di Fossanova”, un’opera anonima che contiene fatti e annotazioni fino al 1217 (anno della probabile stesura). Così il testo: “1186. Sorse in questo anno nel Regno di Sicilia una certa setta di uomini vani, i quali si facevan chiamare Vendicosi, e tutti i mali che potevano commettere portavano ad effetto non il giorno ma la notte. Alla fine, Adinolfo di Ponte Corvo, il quale era stato maestro e capo di questa setta, condannato con reale sentenza, fu impiccato, e molti altri vennero marchiati col ferro rovente”. Dunque, non una setta di giustizieri, ma di malfattori.

Dalla “Cronaca di Fossanova” abbiamo modo di constatare che i Vendicosi si staccano dal ristretto perimetro della leggenda per provare ad entrare nella storia: infatti troviamo, oltre al nome del “maestro e capo” della setta, la notizia di un’azione repressiva contro il gruppo che condusse alla pena capitale Adinolfo di Ponte Corvo e ad una punizione solenne per alcuni membri. Quindi possiamo essere certi che dall’inizio del XIII secolo i Beati Paoli furono parte integrante della storia siciliana, anche se per incontrare una certa attenzione da parte degli studiosi per l’inquietante gruppo, sarà però necessario attendere fino al XIX secolo: allora, storici e cronisti, cercarono di andare oltre le suggestioni della tradizione e delle ricostruzioni fantastiche, dando così maggiore spazio alla storia e alla filologia. Una fonte più recente che fornisce alcune indicazioni sul misterioso tribunale è la “Histoire générale di Sicile” di Jean Levesque de Burigny, tradotta da Mariano Scasso e Borrello nel 1790. I due curatori, in una nota al testo, avvertivano: “È costante opinione appo il volgo che più volte videsi rinnovellare cotesta Società di nascosti Vendicatori in Sicilia ed altrove, comunemente appellati i Beati Paoli. Si avanzarono alquanti tristarelli [Si fecero avanti piuttosto malvagiamente NdR] fino a commentare [immaginare NdR] l’empio istituto come se l’arbitraria briga di assassinare chiunque gli torna a grado, sotto colore [finzione NdR] di vendicare le offese da altri ricevute, e di prestare come un più forte braccio alla giustizia, potesse servir di scusa in una ben regolata Società ad uno scellerato”.

A differenza dei precedenti autori, Gabriele Quattromani (che abbiamo citato in apertura) risulta il commentatore che più di altri ha saputo andare oltre la sola dimensione locale del fatto, cercando connessioni al di fuori della Sicilia e indicando un possibile legame con la Fehmegerichte vestfalica, il tribunale segreto della Germania medievale di cui i Beati Paoli sarebbero stati una filiazione meridionale. I tribunali della Santa Fehma (Fehmegerichte) non sono una leggenda: infatti operarono in Germania tra il XIII e il XVIII secolo, erano costituiti da uomini liberi da legami con il potere feudale e avevano il compito di cercare di riportare la giustizia in particolare tra quelle fasce sociali che non avevano la forza di far valere i propri diritti. Operavano secondo principi di tradizione cavalleresca: ne ritroviamo l’immagine più romantica nel dramma di Goethe, “Götz di Berlichingen”, in cui la descrizione del tribunale (“in un sotterraneo oscuro ed angusto”), ricalca lo stereotipo ottocentesco caratterizzante gli ambienti in cui operavano gruppi “ai limiti”: dalle sette religiose alla Massoneria, dalla Carboneria ad ogni genere di cospiratori veri o presunti. L’idea del “tribunale alternativo” riaffiora anche in alcune pagine di Engels in cui si fa riferimento a “comitati segreti” che si attivarono contro chi non scioperava e contro le fabbriche: azioni repressive e anche omicidi non mancarono di segnare con  il sangue le lotte operaie inglesi: “Quale selvaggia giustizia deve aver riempito il cuore di questi uomini spingendoli a giudicare con fredda determinazione, riuniti in conclave, come disertore del suo ceto e della sua causa del suo ceto un loro confratello di lavoro, a condannarlo alla morte dei traditori e dei disertori, e a giustiziarlo per mezzo di un carnefice segreto, in mancanza di un giudice e di un carnefice pubblico, come se l’antico Fehmegerichte e il tribunale segreto della cavalleria d’improvviso rivivesse in questa forma, d’improvviso apparisse ripetutamente dinanzi agli occhi stupefatti della gente, non più in giaco ma in giacca di velluto, riunendosi non delle foreste della Westfalia ma nella selciata Gallowgate di Glasgow. Tale sentimento deve essere molto diffuso, e forte tra la moltitudine, se nei pochi può assumere, anche se si tratta di punte estreme, forme di questo genere”. Così viene descritto il tribunale segreto dei lavoratori da Friedrich Engels in “La situazione della classe operaia in Inghilterra”. Significativamente, anche Engels fa riferimento all’oscuro tribunale teutonico che, a questo punto, sembrerebbe una sorta di archetipo del quale avrebbero preso forma esperienze analoghe.

Se non fosse per la presenza di alcune fonti più antiche, saremmo tentati di collegare la genesi dei Beati Paoli al meccanismo mitologico romantico, escludendo ogni connessione con la storia. Come puntualmente osserva lo storico Francesco Renda in “I Beati Paoli. Storia, letteratura e leggenda”, “non a caso, del resto, oltre la grande letteratura colta a far proprio ed esaltare l’affascinate motivo della iniziativa privata e giustiziera era la dilagante letteratura popolare, e in particolare il romanzo e il racconto d’appendice, che, proprio a partire dagli anni Trenta, [dell’Ottocento] si affermarono un po’ ovunque, nelle grandi capitali europee della carta periodica stampata. Probabilmente, era questo genere  di scrittura che più si avvicinava e meglio si addiceva alla natura propria, popolare più che colta, della leggenda siciliana dei Beati Paoli. Il romanzo e il racconto d’appendice avevano una totale libertà d’inventiva nella elaborazione dei temi preferiti. Potevano anche riferirsi alla storia, ispirarsi a fatti realmente accaduti, ma non avevano obbligo alcuno di attenersi rigorosamente alla loro fedele e documentata ricostruzione. Ciò che soprattutto importava era la verosimiglianza dell’intreccio nonché la forza emotiva delle situazioni rappresentare. “I Misteri di Parigi” di Sue, “Eugenia Grandet” e “Papà Goriot” di Balzac, “I tre moschettieri” e “Il Conte di Montecristo” di Dumas ecc., costituirono quindi l’usato e abusato modo moderno, assai efficace, di far mito e costruire leggende”. È evidente che i Beati Paoli sono ancora oggi parte integrante della tradizione siciliana: le loro gesta occupano una posizione importante nell’immaginario collettivo, alimentando leggende e nuovi miti.

La ricerca storica necessita però di fonti oggettive che possano offrire quelle garanzie necessarie per una concreta ricostruzione dei fatti. Un indirizzo significativo ci giunge dalla toponomastica: a Palermo troviamo la via e la piazza dedicate ai Beati Paoli. Qui vi è la casa nella quale, secondo la tradizione risalente alla fine del XVIII secolo, si troverebbe una occultata grotta in cui i membri del temuto tribunale si ritrovavano per celebrare i loro processi. La casa, oggi in abbandono, fu descritta nel 1790 dal marchese Francesco Mario Emanuele di Villabianca nelle “Storie letterarie tessute di varia erudizione sacra e profana spettante la gran parte alla Città di Palermo e al regno di Sicilia”. Ecco alcuni frammenti della sua ricostruzione: “Dal primo piano dell’ingresso di questa casa di passa per una porticella in essa in un piccol baglio [casa con cortile NdR] scoperto in cui s’erge una basso albero boschigno [selvatico NdR], e si cammina su lo strato di una volta ben larga di fabbrica [di struttura NdR] che cuopre la grotta che vi sta sotto. Nel centro di sifatta volta vi sta un occhio con grata di ferro che serve da spiraglio e luce alla sotterranea caverna. In questa scendesi per cinque scaglioni di pietra rustica, che in faccia presentanvi un piccolo altare fatto similmente di pietra e a lato portanvi in una piccola oscura stanza, o sia nascondiglio, con tavola posta nel mezzo pel poso delle carte, ove scrivevansi gli atti e i decreti che si facevano da questi micidiali giudici, ed era posto proprio detto della cancelleria. Da qui si entrava nella principale grotta ove trovatasi una ben larga camera con sedili tutta all’intorno e col comodo di cave o sia di nicchie e di scansie al muro, nelle quali riposavan le armi sì di fuoco che di ferro. Or qui adunavansi queste secretari e vi teneano le loro congreghe in luoghi oscuri e dopo il tocco della mezzanotte vi capitavano, onde tutto facevasi a lumi di candela. Entravano essi però nell’oratorio non per l’ingresso principale della casa sopra descritta, ma per una porta falsa stante alle spalle della detta”.

La Palermo sotterranea è ricca di leggende sui Beati Paoli: si tratta di un complesso di siti all’interno di un ampio banco di roccia calcarenitica quaternaria (cioè risalente a non più di due milioni e mezzo d’anni fa), in cui si trovano le cosiddette “camere dello scirocco” che nel XVI secolo erano utilizzate come rifugi contro la calura estiva. Secondo la leggenda, una di queste camere, presente nel quartiere Capo e all’interno di un settore utilizzato come cimitero cristiano, fu sede del tribunale dei Beati Paoli. L’atmosfera è quella cupa dei “luoghi del mistero” in cui il sole non entra e la penombra cela segreti destinati a non venire mai alla luce. Così come non sono venuti mai alla luce i delitti attribuibili senza ombra di dubbio ai Beati Paoli. Quanti e contro chi furono compiuti questi crimini? Difficile dire se la setta non fu opportunamente usata come capro espiatorio quando non si trovarono o non si vollero trovare mandanti ed esecutori dei delitti. O se si volle riconoscere nei Beati Paoli una sorta di “angeli vendicatori” per dare un aiuto simbolico ai desideri di vendetta che animavano le persone colpite ingiustamente, o contro le quali si era accanita la malvagità umana. Una presunta sede, una via e una piazza non bastano a collocare nella storia l’oscuro universo di questo tribunale. I racconti orali, raccolti dallo storico delle tradizioni siciliane Salvatore Salomone Marino (1847-1916), narrano che “a questi uomini davano questo titolo perché erano tutti uomini che facevano i devoti: di giorno, per potere sapere meglio le cose che succedevano, andavano vestiti come monaci di San Francesco di Paola e stavano nelle chiese a dire il rosario (per finta); la notte poi facevano commento di ciò che avevano visto e avevano saputo e ordinavano le vendette”.

Secondo la tradizione popolare, i Beati Paoli, che sono diventati una sorta di giustizieri in favore del popolo, erano espressione della rivolta contro lo strapotere e i soprusi dei nobili e quindi supplivano l’inefficienza della giustizia che, in alcuni casi, era asservita ai potenti. Negli “Atti di giustizia” condotti a Palermo contro i criminali, troviamo due condanne a morte comminate a altrettanti esponenti dei Beati Paoli. La prima fu eseguita il 17 dicembre 1704 contro “Giuseppe Amatore maestro scopettiere. Fu impiccato alle 4 Cantoniere o, per dir meglio, egli stesso si era da sé soffocato nella cappella, fu portato il suo cadavere a una coda di cavallo e fu appeso alle forche”. La seconda fu eseguita il 27 aprile 1723: “Morì nelle forche ch’erano nel piano della Chiesa di Monte Carmelo, D[on] Gerolamo l’Ammirata di Palermo di anni 65 per aver commesso molti delitti in eodem loco”. Perseguita a partire dal 1185, la setta dei Beati Paoli ha comunque mantenuto la propria forza alimentando chissà quante false attribuzioni che possono aver soddisfatto la sede di vendetta di molti, ma che possono anche aver portato alla condanna di tanti innocenti. Come sempre quando si tratta di tribunali, mandanti ed esecutori segreti, colpevoli non puniti dalla giustizia ufficiale, diventa difficile scindere il desiderio di vendetta da un’etica sui generis, arbitraria e calibrata su valori soggettivi. Allo stato attuale delle ricerche, i Beati Paoli sono un mistero perché caratterizzati da alcuni problemi filologici concreti: il primo riguarda l’attribuzione dei delitti (quanti e quali crimini attribuiti ai Beati Paoli furono effettivamente compiuti dalla setta?); il secondo è relativo alle vittime (quanti e quali tra i “giustiziati” dai sicari dei Beati Paoli erano effettivamente colpevoli di qualche crimine?); il terzo si riferisce ai membri del misterioso tribunale condannati per aver commesso gravi crimini (quanti di loro erano effettivamente membri dei Beati Paoli?).

Come si evince da queste domande, i problemi sul tavolo sono numerosi e di certo il mistero che circonda la setta siciliana è stato fortemente alimentato dalla concreta mancanza di risposte a queste domande. Un altro enigma ancora da chiarire riguarda le relazioni tra la setta dei Vendicosi e quella dei Beati Paoli. In pratica non sappiamo se la seconda fu un’emanazione della prima e se ne assorbì i principi, o se fu una setta nata senza alcuna connessione con i Vendicosi. Stando alle conoscenze che possediamo, sembrerebbe di poter immaginare che dalla Fehmegerichte tedesca abbia preso forma la società segreta dei Vendicosi che avrebbe poi avuto la sua naturale evoluzione nei Beati Paoli. Siamo però certi che il tutto si sia evoluto seguendo questa linea? Francamente appare tutto troppo semplice. Se il legame dei Vendicosi con Fehmegerichte appare possibile su un piano culturale (come peraltro risulta evidente con altri gruppi extra-giudiziari analoghi) o come convergenza evolutiva (cioè fenomeni analoghi che vengono generati da un medesimo ambiente pur non avendo diretti contatti fra di loro), appare difficile da sostanziarsi su quello storico. Inoltre ci sfugge il passaggio dai Vendicosi ai Beati Paoli. Perché la scelta di quel nome? Vincenzo Linares, che ne scriveva nel 1836 su “Il Vapore. Giornale letterario e dilettevole”, NN. 35-36, in un articolo intitolato appunto “I Beati Paoli”, sottolineava: “Non sono molto antichi. Furono in Palermo, dov’erano in voga gli sgherri ed i valenti [bravi NdR]. I baroni avevano i loro sicari; i Beati Paoli vollero opporsi alla potenza baronale, e si servivano colle loro mani: effetto della debolezza di quel Governo. Le loro riunioni eran di notte, il segnale era il tocco della mezza notte; la casa vicina a San Cosimo proprio nel Vicolo di Santa Maruzza, quartiere del Capo, era loro stanza. Nella novella se n’è data la descrizione, quasi di peso tratta delle memorie di Villabianca. Se ne commentò da qualcuno anche l’istituto: era quello di riparar gli altrui torti. Certo che de’ buoni colpi uscirono dalle loro mani, ma al tempo stesso assassini, ferìe [ferocie NdR], soprusi, vendette per vendicare le proprie e le altrui offese. Spregiate le patrie leggi, e coloro che vegliano a custodirle, non resterebbe, così esclama il Villabianca, annullata la libertà civile, e gli uni e gli altri non diverrebbero quei malvagi Trogloditi, di cui Montesquieux ci ha lasciato la più interessante dipintura? (… ) Il famoso vetturino in Paleremo, chiamato Vito Viuzza, fu l’ultimo  facinoroso di quella setta. Se la scampò dalla forca, poiché fingendo il divoto si stanziò nella chiesa di San Matteo e far preci, affittando sedie. Cambiò vita, ma se occorrea d’irritarsi si travedeva ne’ suoi occhi tant’anni di mala vita”

Gente “capace di buone e cattive azioni” quindi, ma gente il cui vero volto continua ad essere in gran parte dominio della leggenda. Gente che, come ha affermato l’informatore ascoltato da Salvatore Salomone Marino, “difendevano i nostri diritti, e le cose camminavano col verso, non come camminano ora, che i Beati Paoli ci vorrebbero davvero” (S. Salvatore Marino, “Li Biati Pauli”, in G. Pitrè, “Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani”, Palermo 1875). Dei Beati Paoli si dice avessero l’abitudine di presentarsi con un cappuccio sulla testa, anche tra gli stessi membri della setta; dopo aver celebrato i processi, in cui si decideva la vita o la morte di chi era giudicato colpevole di delitti contro la gente e rimasto impunito dalla legge ufficiale, eseguivano le sentenze rintracciando i colpevoli ovunque fossero… Nella sostanza non si può non constatare che intorno ai Beati Paoli vi è una spessa aura di mistero: non tutte le fonti sono concordi sul modo in cui questo gruppo gestisse il problematico valore costituito dalla giustizia. Ancora oggi sono in molti a chiedersi se i Beati Paoli fossero giustizieri implacabili o crudeli assassini, protettori e vendicatori degli oppressi, oppure oscuri e malvagi sicari.