Gli Usa vivono in gran parte sulle spalle del resto del Mondo

Purtroppo si presta un’attenzione solo sporadica all’andamento del debito degli Stati Uniti. La realtà è che esso, insieme ad altri indicatori economici, segna rosso costante.

screenshot_2016-05-23-14-33-21

E come per le automobili, non è molto intelligente continuare a guidare ‘as usual’ quando il cruscotto indica l’esistenza di un problema, solo perché la macchina cammina ancora e non si è fermata.

Il problema non è solo per l’America, ma, come sempre, si riverbera nel resto del mondo.

All’inizio del 2016 il debito pubblico federale americano ha raggiunto 19.200 miliardi di dollari, pari a circa 105% del Pil. Era di 9.200 miliardi pari al 65% del Pil alla fine del 2007, cioè prima dell’esplosione della grande crisi finanziaria americana e globale. Nel 2000 era di 5.600 miliardi.

Si tratta di cifre enormi, ma più esplosivo per il sistema è il suo tasso di crescita, o meglio, di accelerazione della sua crescita esponenziale.

Lo stesso andamento si è avuto anche per il debito delle corporation private non finanziarie che oggi è pari a 5.500 miliardi di dollari. Era di 3.300 miliardi nel 2007.

Perciò non ci si deve stupire dell’attuale stratosferica cifra di 63.500 miliardi di debito totale (governo federale, enti locali, business, ipoteche). Era 28.600 miliardi, meno della metà nel 2000.

E’ chiaro che si tratta di “debito sporco”, cioè fatto in gran parte per tappare i buchi di bilancio e dei fallimenti di banche e corporation e non per sostenere investimenti e sviluppo. Ciò lo si vede dal fatto che gli Usa sono in perenne deficit di bilancio. Nel 2009 esso aveva raggiunto l’incredibile vetta di 1.413 miliardi di dollari portando gli Usa fino alla soglia della bancarotta federale. Nel 2015 il deficit ha registrato la cifra non indifferente di 438 miliardi.

Ma l’indicazione più preoccupante è il crollo nella bilancia commerciale. Dal 2000 ad oggi gli Usa hanno accumulato un deficit commerciale di oltre 8.630 miliardi di dollari. Quasi 3.500 miliardi a partire da dopo lo scoppio della crisi. Esso è ancora peggiore se si considerasse soltanto la bilancia commerciare di beni reali che dal 2000 è in negativo per oltre 10.500 miliardi. Quasi 4.700 miliardi a partire dal 2009. Gli Usa vantano un avanzo commerciale nel settore dei servizi dove però non è tutto oro quello che luccica. Infatti in questi settori convivono i servizi legati all’ingegneristica a quelli finanziari, dove la componente creditizia tradizionale è largamente seconda a quella puramente speculativa.

E quindi naturale che molte persone, anche parecchi lettori di Sputnik, si domandino come facciano gli Usa a continuare a stampare e a spendere dollari quando l’economia sottostante, a dir poco, fa acqua da tutte le parti. Ma, nondimeno, il loro bilancio militare è sempre crescente.

E’ purtroppo molto semplice. Si potrebbe dire che il gioco è quello delle tre carte.

La prima si chiama Quantiative easing, cioè la decisione della Federal Reserve di operare una politica monetaria cosiddetta accomodante. Per salvare le banche too big to fail in rischio di bancarotta e quindi l’intero sistema del dollaro, la Fed ha immesso una quantità enorme di nuova liquidità che è andata principalmente a gonfiare nuovamente i listini delle azioni quotate a Wall Street, a compare nuovi bond del Tesoro e ad acquistare dalle banche una marea di titoli derivati, anche certi asset-backed security tossici.

L’effetto è ben visibile nella crescita straordinaria del bilancio della Fed che è passato da 860 miliardi di dollari del 2007 a circa 4.500 miliardi di oggi. La decisione della Fed e di Washington non ha solo una valenza monetaria ma soprattutto politica. Si è deciso di cercare di spostare più avanti la resa dei conti. Cosa che non potrà essere fatta all’infinito.

La seconda carta è data dal fatto che il debito pubblico americano è stato largamente scaricato sulle spalle del resto del mondo. E il resto del mondo, per varie ragioni di carattere soprattutto politico ha fino ad ora sostenuto tale tendenza. Infatti circa 6.000 miliardi di dollari di T-bond Usa sono in mani straniere. La Cina da sola ne ha comprati per 1250 miliardi ed il Giappone ne possiede ben 1.133 miliardi. La Fed ha in bilancio T-bond per 2.500 miliardi.

La terza carta si chiama derivati otc (over the counter), cioè quelli trattati al di fuori dei mercati regolamentati e tenuti fuori dai bilanci. Sebbene il tasso di interesse zero ha fatto scendere il valore nozionale globale dei derivati, le banche americane ne hanno per 180.000 miliardi di dollari su un totale di circa 500.000 miliardi. I derivati sono un mezzo per generare nuova liquidità quando se ne ha bisogno. Sono titoli generati attraverso una forte leva finanziaria e con forti rischi che, ad esempio, possono essere messi in garanzia per ottenere invece crediti veri dalla Fed o dalla Bce.

Fin tanto che gli Usa riescono a scaricare il proprio debito sul resto del mondo e sulla loro popolazione essi possono creare la liquidità necessaria per comprare a debito e finanziare spese di ogni tipo, al di sopra delle loro vere possibilità.

 

Un cambiamento vero potrà avvenire solo quando una forte coalizione di Paesi saprà organizzare un accordo multipolare in cui si concretizzi anche un nuovo sistema monetario internazionale basato su un paniere di monete. Una coalizione di forze che comprenda il BRICS e l’Europa, insieme a chi in America comprende che non si può mantenere con la forza un mondo unipolare a trazione americana.

La crisi debitoria di un Paese o anche il suo stato di fallimento possono essere reali, oggettivi. Però non basta a che ci sia una bancarotta. Ciò è un atto non solo economico ma altamente politico. La situazione dell’Ucraina insegna. Di fatto essa è fallita, ma non si è dichiarata la sua bancarotta, fintanto che il Fondo Monetario Internazionale, gli Usa e l’Unione europea ritengono di non volerla ammettere.

 

Fonte http://it.sputniknews.com