Gli indiani canadesi rifiutano un miliardo di dollari per un gasdotto

First Nations: la natura e le economie locali valgono più del denaro e del profitto

Il giovane premier liberaldemocratico canadese Justin Trudeau ha appena firmato un accordo climatico con Barack Obama, eppure nella sua politica ambientale ci sono diversi lati oscuri.  Martin Lucas, un giornalista free lance che vive a  Montréal,  ieri scriveva sul Guardian: «Tutto ha un prezzo. Tutti possono essere comprati. Assumiamo che questo principio sia endemico nella vita moderna e che la sua accettazione sia più evidente tra gli impoveriti. Solo che, in tutto il mondo, le persone stanno sfidando per una causa più grande. Quel coraggio può essere ancora più contagioso».

La storia che racconta Lucas è in corso nel nord-ovest  del Canada,  dove un gigante petrolifero, la malese Petronas, vuole costruire una delle più grandi infrastrutture per i  combustibili fossili del Paese: un gasdotto per trasportare il gas naturale liquefatto (GNL) della British Colombia ed esportarlo all’estero con  navi cisterna, ma prima ottenere l’approvazione di un progetto per costruire un gigantesco terminale multi-miliardario sulla costa.

Il problema è che proprio lì sfocia lo Skeena il secondo grande fiume più ricco di salmoni del Canada e che l’area fa parte della Lax Kw’alaams First Nation. Lo Skeena, uno dei fiumi più lunghi privi di argini in tutto il mondo abbonda di pesci che attraggono una altrettanto ricca fauna che ha permesso per secoli agli indiani della First Nations e a  un’intera economia regionale di sopravvivere.

Nel 2015, pensando che i Lax Kw’alaams potessero essere comprati come tutti, ha offerto alla First Nation 1,15 miliardi di dollari in cambio del loro appoggio a costruire gasdotto e porto, ma i Lax Kw’alaams hanno votato ed hanno clamorosamente detto “no”, all’unanimità..

Quando la Petronas ha avanzato la sua allettante offerta, capo Yahaan dei Lax Kw’alaams temeva che la sua povera comunità, con poche prospettive di occupazione, avrebbe potuto votare sì: «Opportunità del genere non si presentano ogni giorno – ha detto a Lucas – Ma ha dato fiducia alla mia gente perché facesse questo passo coraggioso. Hanno dimostrato il loro amore e la loro passione per la terra e per l’acqua. Nessuna somma di denaro può essere paragonata alla ricchezza del fiume e a quello che ci dà». Gli indiani canadesi sapevano che accettare quel miliardo di dollari avrebbe significato distruggere un territorio  trasformandolo in un sito industriale: L’impianto del GNL sorgerebbe  nel bel mezzo di un estuario unico, che pullula di pesci, dove ogni anno discendono centinaia di milioni di giovani salmoni per ricominciare l’eterno ciclo della vita.

Quando il governo della British Columbia ha dato comunque il via libera alla Petronas, ignorando il “no” unanime e la legge che impone di consultare tutte le First Nations interessate da progetti del genere, la comunità Lax Kw’alaams  ha dichiarato guerra al gasdotto e al terminal del GNL e nell’estate del 2015 si è accampata sull’isola di Lelu, proprio alla foce del fiume, dove dovrebbe arrivare il gasdotto. Gli indiani hanno pattugliato l’area con le loro canoe e hanno pacificamente allontanato i lavoratori della Petronas dai siti sensibili. Il campo è presente ancora oggi e rappresenta una difesa dei salmoni selvatici e dei diritti dei popoli aborigeni canadesi. Avamposti indigeni di questo tipo ce ne sono molti in Canada e sono esempi di resistenza umana per difendere una visione del mondo.  Da un lato c’è un governo con una mentalità estrattivista che è intenzionato a trivellare la provincia della British Columbia con decine di migliaia di pozzi di fracking, promettendo 100.000 posti di lavoro (che in realtà saranno circa un migliaio fissi), che svaniranno  non appena si esaurirà la risorsa; dall’altra ci sono i diritti dei veri padroni del Canada: i popoli indigeni che hanno acquisito la consapevolezza dei loro diritti e riscoperto la loro cultura. Il governo ei suoi partner industriali hanno risposto nel modo al quale sono abituati: offrire ingenti somme di denaro per comprarsi il consensi delle Firt Nations.

Ma contro il gasdotto del GNL gioca anche un’altra potente ragione economica e sociale: la protezione dei salmoni che sfamano decine di migliaia di persine e sostengono un’economia commerciale e ricreativa  fondamentale per la British Columbia. I Lax Kw’alaams  hanno scelto l’abbondanza di vita, invece della minaccia di esaurirla, di «prendersi cura della terra in modo che possa prendersi cura delle persone», sfruttare quel che  terra può continuamente ripristinare invece che ridurre sempre più le sue risorse. «Si tratta di una prospettiva indigena, ma sempre più persone la condividono . scrive Lucas –  E’ in sincronia con la consapevolezza che le nostre fonti di energia devono funzionare non contro i cicli naturali, ma con loro,  sfruttando la potenza del sole, dell’acqua e del vento. Questo può fornire posti di lavoro in numero di gran lunga maggiore rispetto ai combustibili fossili. E questo è il tipo di economia di cui abbiamo più bisogno:  naturalmente rigenerante, che crea durevoli benefici locali, in equilibrio con il mondo naturale. Si tratta, in altre parole, di tutto quel che non è un’economia dell’energia sporca».

Yahaan sottolinea «Lo squilibrio più pericoloso di tutti che verrebbe prodotto da questo progetto industriale, che ha portato all’opposizione univoca della comunità: il suo contributo ai cambiamenti climatici. Lungi dall’essere pulite, le emissioni provenienti dall’industria del GNL manderebbero in frantumi gli obiettivi sulle emissioni el governo provinciale. Da soli, l’impianto Petronas e il fracking ad esso associato, potrebbero diventare il più grande inquinatore di carbonio del Paese».

La coraggiosa resistenza di questa First Nation ha sollevato un enorme problema politico: il piano climatico del premier canadese Trudeau – che avrà l’ultima parola sul progetto – che ha sollevato enormi aspettative rischia di essere vanificato. E le First Nation, che sembrano aver votato in massa pèer i liberali di Trudeau e per il Nuovo Partito Democratico canadese, ricordano al premier quello che ha detto più volte: «I governi concedono i permessi, ma solo le comunità concedono il permesso». Peccato che dopo le elezioni si sia  impegnato a costruire gasdotti e oleodotti voluti dall’ex-primo ministro conservatore Stephen Harper per esportare gli idrocarburi Canadesi in Cina e in Europa. Ma Trudeau deve scegliere se far costruire terminal per il GNL o abbattere le emissioni di gas serra: non può fare entrambe le cose. Un po’ come Renzi, che dice che ha ragione l’Onu quando chiede di lasciare i combustibili fossili sotto terra e poi chiede di non andare a votare il 17 aprile per continuare ad estrarli.

Ma la coerenza politica nei Paesi anglosassoni è ben altra cosa rispetto a quella italica e le contraddizioni rischiano di far affogare Trudeau alla foce del bellissimo fiume Skeena. Intanto, i segnali che arrivano da Ottawa sono contraddittori: il  governo federale ha confermato le stesse agevolazioni fiscali per l’industria del GNL che aveva preparato Harper  e il 18 marzo ha approvato un progetto GNL più piccolo, ma ugualmente controverso, nel sud della British Columbia, questo nonostante decine di migliaia di osservazioni pubbliche contro il progetto Petronas, una decisione che dovrebbe essere presa domani ma che è stata ritardata di tre mesi.

Il governo della British Columbia ha fatto anche peggio, il suo premier Christy Clark ha detto che non si fida di quello che dicono gli scienziati e che la vera questione del contendere non è il  pesce: «Si tratta solo di cercare di dire di no. Si tratta di paura del cambiamento. Si tratta di una paura del futuro». Postulando così che il futuro saranno ancora le energie fossili.

Ma Clark  è stato abbastanza sfortunato perché, poco dopo, Science ha pubblicato lo studio  “Selling First Nations down the river” dal quale emerge che «L’impianto GNL potrebbe portare al collasso della migrazione del salmone selvatico nella British Columbia». Ma  il sostenitori del gasdotto fanno finta anche di non sapere che, già 40 anni fa, degli  studi scientifici del governo avevano dimostrato che qualsiasi sviluppo industriale in questa regione potrebbe «distruggere completamente il complesso ecosistema del fiume». Anche gli attuali studi commissionati dal governo canadese continuano a evidenziare problemi per l’industria del GNL: nello scenario peggiore, «Le sue emissioni, sarebbero paragonabile a quelli delle terre bituminose dell’Alberta».

Ma Yahaan è convinto che «La campagna denigratoria messa in atto dal governo provinciale ha un altro scopo: quello di emarginare e criminalizzare la popolazione indigena. La Royal Canadian Mounted Police, che scorta i lavoratori Petronas, minaccia regolarmente i membri della comunità che pattugliano sulle  barche. Hanno detto che ci stavano guardando sorvegliando dall’aria e dall’acqua. Un sergente di polizia mi ha detto, “avremmo potuto buttare giù chiunque da quelle barche, ma non abbiamo voglia di far sembrare che stiamo proteggendo le corporation»

Nonostante tutto questo, il sostegno popolare ai Kw’alaams Lax è cresciuto continuamente: gennaio, diverse nazioni indigene vicine, gruppi locali e politici dell’opposizione hanno firmato la Dichiarazione Lelu, un forte richiamo delle Frist Nations a proteggere l’area dallo sviluppo industriale e a custodirla per le generazioni a venire. Una posizione che è una sfida non solo a Trudeau ma a tutti coloro che scelgono di schierarsi con l’economia estrattiva che offre la sicurezza nel breve periodo, ma garantisce un pericolo nel lungo termine. Nel 2015 molte associazioni canadesi si sono riunite per capire come avviare la transizione del Canada verso una nuova economia, quando un sindacalista ha chiesto prudenza quando si trattava di rischiare i posti di lavoro dell’industria petrolifera, un leader indigeno, Arthur Manuel, ha risposto: «Guardate l’esempio dei Lax Kw’alaams. Noi, le comunità più povere in Canada, abbiamo  sempre avuto pochi soldi.  Se questa First Nation riesce a trovare il coraggio di rischiare un’altra strada, che scusa ha il resto di noi?»

Lucas conclude: «Queste “forze del no” indigene, derise da Christy Clark, ignorate da Justin Trudeau, hanno iniziato a chiamare se stesse con un altro nome: “Forze del  know”. Certo, tengono ad alcune cose, ma non potrebbe essere più fondamentali. E’ che il loro approccio, ancorato nella conoscenza antica e arcuato  verso un futuro abitabile, è su come il mondo può essere salvato: amando il mondo naturale e le economie viventi, più del mero denaro e del profitto».