FATA MORGANA: La storia della loggia che stritola Reggio

La continuità con la struttura fondata da Franco Freda. I legami con l’eversione nera e la mafia. Il ruolo degli “invisibili”. Sono tanti i tasselli della storia sommersa della città che compaiono nell’inchiesta

Dal corriere della Calabria 

 

REGGIO CALABRIA C’è una loggia segreta, che affonda le radici negli anni peggiori e nella storia non scritta della Repubblica, che da decenni ormai condiziona lo sviluppo economico e politico della città. È impastata di ‘ndrangheta, di cui si è servita e a cui è servita, per cementare un potere che non appare, ma stritola la città, di fatto prostituendo ogni possibile prospettiva di sviluppo a privilegi e desiderata di pochi. A farne parte – stando a quanto allo stato emerso dalle indagini – sono nomi noti delle professioni, nobili, uomini delle istituzioni e persino sacerdoti. E tutti – e tutti insieme – hanno deciso per la città di Reggio Calabria e la sua comunità senza che nessuno li abbia per questo delegati.

 

IL FILONE MADRE Sebbene non appaia fra le contestazioni che hanno portato oggi dietro le sbarre i sette destinatari del fermo “Fata Morgana”, è questa la principale ipotesi investigativa dell’inchiesta che vede al centro Paolo Romeo, ex deputato del Psdi, già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, unanimemente conosciuto come consigliori di massimo livello dell’élite della ‘ndrangheta reggina, ma nonostante questo per anni libero di agire a suo piacimento. Ed è proprio il controverso avvocato – emerge dal decreto di perquisizione che ha colpito molti di quelli che per i pm Giuseppe Lombardo, Stefano Musolino, Rosario Ferracane e Luca Miceli sono i componenti della loggia – il perno centrale di quell’associazione segreta, in rapporto simbiotico con la ‘ndrangheta, che ha permesso ai confratelli a essa affiliati di aggirare la normativa in materia di misure di prevenzione patrimoniali, riciclare denaro e agevolare le ‘ndrine grazie a una fitta rete di rapporti politici e professionali. Al momento, quelli che la Dda ritiene appartenenti alla loggia sono l’avvocato Paolo Romeo, il suo fido braccio destro, l’avvocato Antonio Marra, il collaboratore del consigliori dei clan, Antonio Scordo, il consigliere provinciale di centrodestra Demetrio Cara, il cancelliere capo della Corte d’Appello, Aldo Inuso, l’ex magistrato cassazionista Giuseppe Tuccio, il professore Rocco Zoccali, l’ex assessore Amedeo Canale, il presidente dell’associazione “Cittadinanza attiva”, Domenico Pietropaolo, l’ex project manager di Fincalabra, Nuccio Idone, il marchese Saverio Genovese Zerbi, don Pino Strangio, il funzionario regionale Giovanni Pontari. Ma – stando a quanto filtra – potrebbero essere molti di più.

 

L’EREDITÀ Per i magistrati – secondo le prime indiscrezioni – non si tratta di una struttura di nuovo conio, ma di una creatura che si pone in linea di continuità con quella superloggia che alla fine degli anni Settanta Franco Freda avrebbe fondato, mentre altri si occupavano di dare vita a una gemella a Catania. Ne hanno parlato per anni – forse inascoltati – i pentiti alfa e delta della Dda reggina, Giacomo Ubaldo Lauro e Filippo Barreca. «Dopo il 1979 – metteva a verbale Lauro nel lontano 1993 – invece venne costituita una loggia massonica super segreta di cui facevano parte appartenenti alla ndrangheta, come Paolo De Stefano, l’avvocato Giorgio De Stefano, il defunto Pasqualino Modafferi, Paolo Romeo, Antonio Nirta, esponenti dell’eversione nera come Paolo Romeo, Benito Sembianza, Giovanni Criseo, da San Lorenzo poi ucciso, tutto ciò avvenne in coincidenza con l’arrivo a Reggio di Franco Freda, accompagnato da Zamboni e Saccà così come ho riferito in precedenza, entrambi massoni ed appartenenti ai servizi segreti. Di questa loggia facevano parte anche l’ingegnere D’Agostino ed altri professionisti ed esponenti delle istituzioni. Fondatori ed organizzatori di questa loggia, furono Franco Freda e Paolo Romeo». E quel cenacolo segreto, spiega il collaboratore, aveva un gemello.

 

I COLLEGAMENTI CON LA SICILIA «Mi risulta – dice Lauro ai magistrati – che una filiale di questa loggia supersegreta venne creata anche a Catania dove peraltro militavano degli appartenenti all’eversione nera. Altro esponente dell’eversione nera affiliato alla ‘ndrangheta era ed è Fefè Zerbi, appartenente al “locale” di Taurianova. Zerbi teneva riunioni di ‘ndrangheta nella sua azienda agricola così come ospitava latitanti di ‘ndrangheta. Era molto amico di Paolo Romeo e dei fratelli Giorgio e Paolo De Stefano, e di lui mi parlava spesso Carmine Dominici, nel periodo in cui fummo detenuti insieme nel carcere di Reggio Calabria negli anni 1979/80. Dopo la partenza di Freda la loggia passò sotto il controllo di Paolo Romeo». Del tutto sovrapponibili sono le dichiarazioni messe a verbale sull’argomento da Filippo Barreca, ex capolocale di Pellaro, che i clan hanno tentato di uccidere proprio per la sua collaborazione all’individuazione e all’arresto del terrorista nero Franco Freda. L’ideologo evoliano di Ordine Nuovo era stato affidato a lui nei mesi di latitanza a Reggio Calabria. E in quel periodo sono molte le conversazioni che Barreca ha avuto modo di ascoltare. «Ho partecipato ad alcuni degli incontri avvenuti a casa mia tra Freda, Paolo Romeo e Giorgio De Stefano. Tali discorsi riguardavano la costituzione di una loggia super segreta, nella quale dovevano confluire personaggi di ‘ndrangheta e della destra eversiva e precisamente lo stesso Freda, l’avv. Paolo Romeo, l’avv. Giorgio De Stefano, Paolo De Stefano, Peppe Piromalli, Antonio Nirta, Fefè Zerbi».

 

IL “LIMA” CALABRESE Ma Barreca, forte anche dei lunghi mesi passati gomito a gomito con Freda, riesce ad andare oltre. «È vero che ho parlato di un personaggio che fa o ha fatto da collegamento tra Cosa Nostra siciliana e la ‘ndrangheta reggina. Sono ora disposto a fare il nome di questa persona e posso dire che si tratta dell’avv. Paolo Romeo. A mio avviso costui rappresenta l’anello di congiunzione tra la struttura mafiosa e la politica. Volendo fare un paragone potrei dire che è il “Lima” reggino. Il suo ruolo è sicuramente superiore a quello dell’avv. Giorgio De Stefano ed è stato determinante nelle trattative per il raggiungimento della pace. Non so dire con chi l’avv. Romeo tenga i collegamenti in Sicilia ma credo che si tratti di personaggi politici che a loro volta sono collegati con Cosa Nostra. Sapevo da varie fonti che l’avv. Romeo è massone ed apparteneva alla struttura Gladio. Egli inoltre era collegato con i Servizi Segreti ma non so dire in che modo. Egli però ebbe a dire ad un mio parente che aveva a disposizione i Servizi. So anche che era interessato ad un progetto politico che puntava alla separazione delle regioni meridionali dal resto del paese ma anche su questo non so fornire ulteriori particolari».

 

IL DIRETTORIO E GLI INVISIBILI Tutte dichiarazioni finite agli atti dell’inchiesta Olimpia, ma su cui gli approfondimenti, all’indomani della storica sentenza di condanna, che ha sepolto sotto il peso di centinaia di anni di carcere i maggiorenti della cosche reggine, si sono fermati. È stato necessario aspettare il 2010 perché l’indagine Meta, che di Olimpia è la naturale prosecuzione, riprendesse a tessere quel filo. A quell’intuizione sulla natura e l’evoluzione dell’élite della ‘ndrangheta reggina che la prima Dda di Reggio Calabria ha cristallizzato nel capo di imputazione F18, in cui si affermava l’esistenza di «un organismo decisionale posto in essere a decorrere dall’estate del ’91, all’interno di questa nuova struttura che prendeva il nome di Cosa nuova, allo scopo di assumere le decisioni più importanti e di risolvere le controversie insorte fra i vari clan, di tenere i rapporti con altre organizzazioni criminali nazionali e internazionali, con la massoneria e con le istituzioni» il pm Giuseppe Lombardo ha dato nome, forma e sostanza. Perché se all’epoca di Olimpia non c’erano gli elementi per provare nelle aule di giustizia l’esistenza di quell’organismo, «oggi – aveva detto in sede di requisitoria il sostituto della Dda – ci sono». Così come ci sono – e il collegio presieduto da Silvana Grasso lo ha confermato – le piste che portano dritte ai “riservati”, agli “invisibili”, a quegli uomini che fra il direttorio della ‘ndrangheta reggina e altri sistemi di potere fanno da insostituibile trait d’union.

 

LA SAPIENZA DI DON LUNI In quella sentenza, il Tribunale di Reggio Calabria lo ha messo nero su bianco. Ma ha specificato anche che quegli stessi uomini – per lo più occulti alla gran parte della restante componente organizzativa – sono funzionali a garantire il riconoscimento dell’associazione quale soggetto integrato nella classe dirigente cittadina. Affermazioni che trovano riscontro anche nelle parole del vecchio boss di Limbadi, oggi deceduto, Luni Mancuso che, intercettato, afferma «la ndrangheta non esiste più!… una volta, a Limbadi, a Nicotera, a Rosarno, a… c’era la ndrangheta!La ndrangheta fa parte della massoneria! Diciamo… è sotto della massoneria, però hanno le stesse regole e le stesse cose… […] ora cosa c’è più?… ora è rimasta la massoneria e quei quattro storti che ancora credono alla ndrangheta!… […] una volta era dei benestanti la ndrangheta!… dopo gliel’hanno lasciata ai poveracci, agli zappatori… e hanno fatto la massoneria!… le regole quelle sono!». Luni Mancuso non è mai stato un chiacchierone. Gli investigatori gli sono stati dietro per anni prima di riuscire a intercettare conversazioni utili ad inchiodarlo. Ma nel corso del tempo, hanno capito che le sue affermazioni non sono mai casuali. Per questo – affermano oggi i magistrati reggini – non è assolutamente casuale che per spiegare il rapporto fra ‘ndrangheta e massoneria abbia affermato «bisogna fare come… per dire… c’era la “democrazia”… è caduta la “democrazia” e hanno fatto un altro partito… forza italia, “forza cose”… bisogna modernizzarsi!… non stare con le vecchie regole!… […] il mondo cambia e bisogna cambiare tutte cose!… oggi la chiamiamo “massoneria”… domani la chiamiamo P4, P6, P9».

 

LA LOGGIA REGGINA NELLE PAROLE DEI PENTITI Ma di una loggia segreta, chiamata a legare indissolubilmente destini e attività del gotha delle ‘ndrine e dell’élite reggina delle professioni e dell’imprenditoria, hanno parlato in dettaglio – e in tempi recenti – anche i pentiti Nino Lo Giudice e Cosimo Virgiglio. Nino “il Nano” ha affidato le sue confidenze al secondo memoriale inviato durante il suo breve periodo di latitanza, con cui ha affermato di sapere di una loggia segreta a Reggio città, in diretta linea di continuità con la superloggia di cui Filippo Barreca nel ’93 ha parlato, che ha l’avvocato Marra fra i suoi componenti. Ancor più preciso e dettagliato è stato di recente Cosimo Virgiglio, che con il pm Lombardo è stato chiaro: a Reggio Calabria c’era almeno una loggia coperta di cui lui faceva parte, che si riuniva regolarmente «e si estendeva fino a Valanidi». All’interno – spiega il pentito ai pm Giuseppe Lombardo – non erano ammessi solo notabili e professionisti. Al contrario, i signori della Reggio bene autorizzati a vestire il grembiule erano indicati dai clan, mentre da Vibo arrivavano precise indicazioni su quali uomini delle ‘ndrine ammettere. Cautele necessarie per tutelare un «contesto riservato» ha precisato.

 

FATA MORGANA Sono queste – emerge tra le righe del fermo Fata Morgana – le tracce che gli inquirenti hanno seguito per individuare la loggia segreta di Reggio Calabria che per i magistrati da lungo tempo si nasconde sotto le insegne dell’Igea onlus. Formalmente, nulla di più di un Istituto studi e ricerche geomarine ecoenergetiche ambientali, in realtà sarebbe solo la faccia pubblica di un gruppo che ha condizionato – e profondamente – l’evoluzione della città. A favore dei soliti noti. «Le qualità soggettive di Romeo, il suo muoversi in un contesto di ‘ndrangheta dove tal mediazione è accettata e non contraddetta, le attività del gruppo funzionali a risolvere in senso favorevole agli interessi economici ed imprenditoriali di esponenti della ‘ndrangheta procedure amministrative – si legge nel decreto di perquisizione – sono tutti sintomi evidenti di come il gruppo si muova anche al fine di agevolare gli interessi della ‘ndrangheta e soprattutto si ponga quale centro di equilibrio dei sistemi di potere di cui la ‘ndrangheta si alimenta». E nel gruppo ognuno ha il suo ruolo.

Come si vede il nostro articolo La mafia non è altro che il braccio armato della Massoneria racchiudeva tra le sue righe soltanto verità.