“CAMMINANDO SI RISOLVE”

Affermava Pascal: “Notre nature est dans le muovement”.

L’uomo è un animale che ha bisogno di camminare. Per curare la solitudine e soddisfare il suo bisogno di crescita. Per aprire nuovi orizzonti. Camminare crea i presupposti psicologici ideali per una riflessione ponderata, accende le idee. Equilibra i due lobi del cervello in un’operazione quasi automatica.

L’uomo moderno, invece, ha quasi dimenticato come si cammina. E l’abbandono di questo gesto naturale, proprio dell’animo umano, lo spinge talvolta a crearsi viaggi alternativi. A me invece è sempre piaciuto camminare. Da un po’ di tempo amo molto anche correre: un modo di marciare un po’ più velocemente, senza tante velleità agonistiche. Che si tratti di camminare o correre per le strade trafficate, attraverso la campagna o su sentieri montani, in fondo ha poca importanza. È l’imperioso richiamo interiore del cammino che mi mette in moto. Passo dopo passo, meglio se con l’aiuto di bei paesaggi, ma anche e forse di più del silenzio, ci si avvicina a sé e alle proprie emozioni.

Fra i convinti assertori del Solvitur ambulando (Camminando si risolve) va senz’altro annoverato lo scrittore e viaggiatore britannico Bruce Chatwin, autore di titoli come In Patagonia o Le vie dei canti. Anche il regista Werner Herzog considera terapeutico il gesto di camminare. Quando seppe che la sua amica Lotte Eisner, assistente di Fritz Lang e musa ispiratrice del cinema tedesco, era in fin di vita, si mise in marcia in mezzo alla neve per andare da Monaco a Parigi, convinto che in qualche modo, a forza di marciare, sarebbe riuscito a farla guarire. La Eisner guarì e visse altri dieci anni.

Camminare è anche una metafora potente. Non dimentichiamo, infatti, che la specie umana ha avuto inizio dai piedi. Oggi osserviamo con un tremito di emozione le orme di G1 e G2, due australopitechi alti meno di un metro e quaranta (da cui però sarebbero poi discesi i giganteschi Masai) che, oltre tre milioni e mezzo di anni fa, sfuggendo a un’eruzione, lasciarono dietro di sé una fila di impronte fossilizzate dalla cenere.

Due ominidi, nella Rift Valley, all’alba della nostra storia, si alzarono in piedi e cominciarono a deambulare. Da qui, il destino dell’uomo, che è nato per camminare inquieto. Alla ricerca di Dio, del mistero, dell’enigmaticità del tutto. O più semplicemente della libertà. Come fanno tutti i giorni migliaia e migliaia di uomini e donne che attraversano il Sahara per raggiungere le sponde del Mediterraneo, banchina disperata e al tempo stesso di speranza verso il nostro mondo.